In scena dal 12 aprile al 1 maggio 2016 al Teatro 7 di Roma
Tre atti di scoppiettante umorismo, in cui i tempi serrati e il ritmo frenetico sono gli ingredienti di una ricetta perfettamente riuscita. Ogni singola battuta scandisce perfettamente la comicità e le entrate-uscite a raffica dello spettacolo. La pluripremiata commedia inglese assume così una veste frizzante e il suo meta teatro (teatro nel teatro) realizza quel mix divertente e rocambolesco che il pubblico non si aspetta, regalando una serata piacevolmente diversa e decisamente effervescente.
Tutto comincia con le prove di una commedia, purtroppo ancora imperfette nonostante la prima sia imminente tanto che il regista arriva nervoso dalla platea, incalzando e spingendo gli attori a concentrarsi e ad essere sul pezzo. La strampalata compagnia di teatranti dimostra poi di essere molto sui generis già nel primo atto. Il secondo, invece, propone sul palco il backstage dello spettacolo stesso, dove affiorano con una climax delirante i segreti, gli amori, gli errori e tutte le problematiche, specchio di uno spaccato sul mondo del teatro e sulle sue intrecciate dinamiche. Le entrate e uscite sono ora addirittura alternate a lanci di oggetti, a vendette e risse continue. Il caos travolge definitivamente gli attori, irrompendo con veemenza nell’atto finale, in cui ci ritroviamo di nuovo con la scenografia del primo atto, ma al terzo mese di tournée. La compagnia è ormai totalmente allo sbaraglio, l’astio tra attori ha ormai corroso ogni armonia, e le battute sono completamente sbagliate, non tornano con i movimenti, si accavallano, sono tutti sconnessi dal proprio personaggio e gli oggetti si trovano in posti sbagliati. Sarà poi un colpo di scena nel finale a lasciare in sospeso la platea, allibita.
Il testo di Michael Frayn esprime una genialità in tutto il suo svolgimento, ma è anche l’arte e la maestria di tutti gli attori (e del regista stesso Marco Zadra, che interpreta appunto il ruolo del regista), doppiamente attori data la natura della rappresentazione, a essere davvero notevoli: le battute sono pulite e incastrate in modo ineguagliabile come un puzzle.
Da Rumori fuori scena si evince anche il concetto di imprevedibilità e di fallibilità dell’uomo, che per estensione a ciò che avviene sul palcoscenico si può considerare metafora della vita stessa. Infatti nonostante tutto lo studio dei dettagli e le prove, l’equilibrio si è rotto ugualmente: i sentimenti, i vizi e le imperfezioni umane hanno sgretolato la sicurezza data dalla preparazione, sfociando in un drammatico capitombolare dell’armonia di gruppo.
Flavia Severin