Deutsche Oper Berlin, Berlino. Lunedì 2 maggio 2016
Violetta Valery, Marguerite Gautier, Marie Duplessis: dall’opera al dramma, dal romanzo alla vita. Tre nomi diversi che segnano e riassumono il passaggio dal fatto di cronaca alla sua trasfigurazione in fatto artistico; la metamorfosi di una donna in personaggio e la nobilitazione di una vicenda tutta personale – argomento buono al più per un fugace pettegolezzo salottiero – al rango di simbolo, di parabola morale.
Tutto ciò accade durante le rivoluzioni milanesi, e ci fa capire come l’attualità del contesto possa conservare le potenzialità insite di un riconoscimento collettivo, quindi in una parola sola: popolare.
Perché la Traviata, di tutte le opere di Verdi, e non solo, è la più popolare, la più conosciuta e amata dal pubblico. Questo non meraviglierebbe di certo il compositore che in una delle sue lettere scrisse: “Se fossi un maestro preferirei il Rigoletto, se fossi un dilettante amerei soprattutto la Traviata”.
Quando Verdi nell’autunno del 1852 scelse di mettere in opera la tragica storia di Madame Valery, Marie Duplessis era morta da un pezzo stroncata dalla tisi appena ventitreenne.
Alla prima della Deutsche Oper, l’inno del melodramma italiano viene portato sul palco da Patrizia Ciofi – classe 1967 – sotto la bacchetta elegante e finissima di Ivan Repusic, che introducono allo strazio del capolavoro verdiano sin dalla prima nota suonata superbamente dagli archi dell’orchestra di Deutsche Oper Berlin.
Il regista – Gotz Friedrich – attraverso le sue scelte, introduce al pubblico e anticipa il “filo rosso” che seguirà imperterrito in tutti e tre gli atti e i quattro cambio scena. L’allestimento essenziale, a piccolissimi tratti cinematografico e con qualche tocco di lussuosità artificiale, è stato totalmente coperto dal suono eccellente dell’orchestra e dei cantanti che hanno permesso agli ascoltatori di assistere ad un’interpretazione musicale talmente raffinata del capolavoro verdiano, che bastava chiudere gli occhi e sentire con il cuore per rendersi conto che il vero lusso era trovarsi lì, ascoltare il timbro soave e dosato della loro voce che ben si amalgamava e riempiva tutta la sala.
Tre nomi anche per il personaggio maschile dell’opera: Alfredo Germont, Armand Duval, Alexandre Dumas.
Lo scrittore e la fanciulla – “alta, esilissima, dai capelli scuri e carnagione bianca rosea” – si erano conosciuti nel ‘44 in una situazione simile a quella descritta nell’opera: durante una cena tra amici, Marie si era sentita male e aveva cominciato a tossire sangue; Dumas preoccupato la seguì fin nella stanza da letto e lei, colpita dal suo sincero interesse, lo prese come amante. A differenza del capolavoro verdiano, Alexandre e Marie si separarono a causa della morte precoce della ragazza. Non ci fu dunque alcun padre che ostacolasse il loro amore. Come interprete vocale indiscusso del trinomio maschile c’era Saimir Pirgu, nome già ampiamente conosciuto per chi si nutre d’opera continuamente. Il suo Alfredo – più virile che mai – sembrava dominare ogni millimetro dello spazio scenico e faceva da traino a tutti gli altri personaggi che seguivano attenti ogni movimento del suo capo e del suo corpo, creando così un rapporto alchemico di armonia tra il cast e l’orchestra.
Ogni movimento del suo viso e della sua voce raccontavano il passato, il presente e il futuro: un giovane di buona famiglia non può rimanere impigliato nelle reti amorose di una meretrice, per quanto questa sia disposta a rinnegare il passato e per amore cambiare la vita. Un tale legame getterebbe discredito sull’intera famiglia, ne macchierebbe l’onore e soprattutto precluderebbe a tutti i suoi componenti ogni possibilità di miglioramento, ogni opportunità di salire i duri gradini della scala sociale. Questa è la morale del piccola borghesia una volta grattata via l’austera pattina di superficie. Se il giovane ALEXANDRE-ARMAND-ALFREDO fosse stato nobile e veramente ricco, forse tutti quegli impedimenti al coronamento del suo amore per MARIE-MARGUERITE-VIOLETTA si sarebbero potuti superare, per quella libertà che posseggono solo i potenti e i nobili.
Da punto di vista musicale, al tempo di Verdi, secondo le più radicate convenzioni melodrammatiche non si poteva tollerare la messa in scena di personaggi che cantando, vivevano, agivano e morivano vestiti degli stessi abiti che il pubblico indossava. Alla sua prima messa in scena, la Traviata, fu un enorme fiasco. I cantanti, abituati a tutt’altro genere di azione, non riuscivano ad assecondare le indicazioni del maestro ed entrare nella dimensione intima dell’opera. Nonostante le difficoltà iniziali, il capolavoro popolare, non solo resiste, ma addirittura monta le classifiche. Il 6 maggio del 1854 dunque, la Traviata torna sul palco e si trasforma in trionfo e tale si presenta anche il 2 maggio 2016 all’Opera in Bismarckstrasse.
Le qualità di Verdi come drammaturgo sono indiscutibili. Traviata venne scritta parallelamente al Trovatore: entrambe le opere parlano lo stesso linguaggio melodico, ma ciò che è virile e ampio in una parte, diventa raccolto e femminile nell’altra. E il gesto raccolto, la dimensione intima delle linee melodiche, l’utilizzo strategico di una trama orchestrale ridotta (archi divisi), la formulazione di frasi brevi mosse su intervalli ravvicinati, vengono a costituire il colorito, la vera sostanza dell’opera in un tessuto musicale che, prima ancora dell’intonato, ci svela il senso del dramma, il cui nodo centrale è costituito proprio dai confini angusti della famiglia borghese e dal piccolo mondo convenzionale che vi ruota intorno, diametralmente opposti al concetto di nobiltà.
Indiscutibile è stata anche l’interpretazione di George Germont – Thomas Hampson – e la sua particolare capacità di accendere la tensione drammatica e avvincere lo spettatore in un gioco di attese e risoluzioni, obbligandolo a identificarsi con la vicenda umana rappresentata in scena. Verdi concepiva gli eventi drammatici già in musica, e non rivestiva le situazioni con l’abito dei suoni ma le realizzava attraverso i suoni, dunque, secondo le leggi della costruzione e dello sviluppo puramente musicali.
Viola Banaj