Accrediti a pagamento per i critici di spettacolo. Tra scempio e paradosso

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Ultimamente stiamo assistendo a una cosa a mio parere – non solo mio – alquanto paradossale; una cosa che minaccia la professionalità di un mestiere, quello del giornalista, e più da vicino quello del critico (o giornalista dello spettacolo). Ora, sappiamo che quando parliamo di questa professione parliamo di un lavoro che negli ultimi anni ha subito un discredito, questo in seguito all’arrivo delle testate web, che se da un lato hanno portato maggiore reperibilità delle informazioni da parte dei lettori, dall’altra hanno portato i giornalisti a divenire dei professionisti sottopagati, visto che le testate web non hanno di solito abbastanza soldi per poter pagare e visto che le testate cartacee ormai non vendono più abbastanza numeri per poter retribuire adeguatamente. Questi fattori hanno portato il lavoro giornalistico a essere classificato da un articolo del Quotidiano La Stampa di qualche anno fa all’ultimo posto per quanto riguarda la retribuzione. In ogni caso, questo era soltanto un preambolo per delineare una situazione per questo mestiere già complicata, ma il problema che voglio trattare oggi nello specifico è un altro.

Sappiamo che il critico di spettacolo va a teatro per recensire gli spettacoli e che per fare questo viene accreditato gratuitamente dagli uffici stampa dei teatri, perché possa svolgere professionalmente la sua funzione. Questo è stato normale fino a poco tempo fa, ed è ancora così per la maggioranza dei teatri italiani. Il problema è che una parte di questi sembra avere cambiato linea, comportandosi diversamente. Ultimamente infatti si è assistito e assiste a casi in cui gli uffici stampa di certi teatri – dei quali non farò nomi –, invece di offrire al giornalista l’accredito, offrono il così detto “biglietto di cortesia”, che di norma ha un costo di due euro per ricoprire le spese SIAE (come si sa anche il biglietto gratuito costa una piccola spesa ai teatri, proprio a causa della “tassa” SIAE, che come al solito si rivela un danno per il nostro Paese. Magari avrò modo di parlarne in altri articoli). Secondo questi teatri insomma (che a volte specificano per e-mail l’esistenza di tale biglietto e che a volte non la specificano, facendo così comprendere la sua esistenza al critico, che si aspetta un accredito gratuito, solo al momento del ritiro), il collaboratore di un giornale, che viene lì per lavorare – diciamolo ad alta voce: LAVORARE! – , dovrebbe pagare per compiere il suo mestiere, ricordando inoltre che spesso e volentieri non viene neanche retribuito dalla sua testata di riferimento. Il critico insomma arriva a teatro e tramite il suo articolo fa pubblicità al teatro e agli artisti, non viene pagato dalla sua testata, ma, anzi, deve pagare: il risultato è che quindi DEVE PAGARE PER LAVORARE!

Vignetta di Sara Lovari
Vignetta di Sara Lovari

In quanto direttore del Corriere dello Spettacolo ho avuto modo a volte di scontrarmi o di discutere con diversi uffici stampa nazionali, di teatri più o meno noti, i quali in certe occasioni mi hanno risposto a male parole, in altre mi hanno spiegato la situazione del teatro, che, lo si sa, non è rosea, ma non credo che questo dovrebbe permettere una cosa del genere, sapendo anche che all’interno dei teatri ci sono spesso e volentieri invitati che non pagano assolutamente niente e che non scrivono niente – invitati nel senso di veri e propri invitati insomma. Eppure questi non pagano, il critico sì… mah.

Ricordo che un ufficio stampa di qualsiasi teatro non è obbligato a concedere gli accrediti stampa ai critici e se questa faccenda degli accrediti a pagamento è nata a causa di quei furbetti che, seppure accreditati, poi l’articolo non l’hanno scritto, beh, questa non è una giustificazione, perché comunque il teatro può riservarsi di non accreditarli mai più. Va detto che ci sono teatri anche fin troppo buoni, che riservano senza problemi accrediti sia al giornalista che a eventuali accompagnatori. In questo caso dico che non ho niente contro chi pone a pagamento il biglietto per l’accompagnatore, perché giustamente quello non va a teatro per lavorare, ma per accompagnare, nella migliore delle ipotesi per essere uno spettatore, ma mi sembra veramente vergognoso che il critico debba pagare.

Per quanto mi riguarda, ho già preso provvedimenti per la mia testata e ho chiesto ai miei collaboratori o di non ritirare i biglietti di cortesia oppure di ritirarli e di non scrivere l’articolo. Dobbiamo capire che questo può diventare un circolo vizioso e dannoso anche per gli stessi artisti, che così probabilmente avranno sempre meno recensioni sui loro spettacoli (a proposito, al botteghino fate pagare anche gli artisti per il tragitto che li porta al palcoscenico?). Questa è una battaglia che dobbiamo vincere per il bene della deontologia professionale e mi auguro che le testate e i blog italiani saranno uniti per vincere questa battaglia, sperando che non diventi una guerra.

Stefano Duranti Poccetti

Grazie a Sara Lovari per la bella vignetta, in linea con lo spirito dell’articolo.

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