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“Il Mercante di Venezia”. Adattamento e regia Filippo Renda

Data:

Teatro Sala Fontana, Milano. 10-26 giugno 2016

Un “Mercante di Venezia” come probabilmente non lo avete mai visto, una sorpresa gradita e inaspettata, perché non sempre prendere i testi del grande Autore è garanza  di successo, quando si decide di farne una messa in scena o una riscrittura cinematografica, anzi il più delle volte sono dei fallimenti, o per eccesso di stravaganza fine a se stessa o per eccesso di banale e noioso servilismo.

E allora, di fronte all’ennesimo allestimento, la nostra prima  reazione è (ci scommetto) : “Un’altra volta Shakespeare?! Ma non c’è qualcosa di più moderno?” poi ti trovi davanti a quello di Filippo Renda e ti rendi conto che Shakespeare è assolutamente moderno, attuale, sfacciato, intrigante, ironico, dark e lieve, rock e classico. Il testo scritto tra il 1596 e il 1598 è un vaso di Pandora da cui escono tutti i sentimenti umani, l’amicizia e la fedeltà, l’amore e il sacrificio, il tradimento e la sete di potere, la diffidenza e la perfidia. E più vai in profondità e più ti accorgi che Venezia è la New York di Wall Street e i giovani dei baby boomer e il giudeo lo “straniero” che viene dal mare e che molti vorrebbero che là ritornasse.

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Tutto si svolge sullo sfondo di una Venezia notturna che galleggia sull’acqua della laguna, resa splendidamente da una distesa di etichette di plastica morta, strappate dalle bottigliette dell’acqua,  e che si insinuano tra le passerelle di legno  calpestate dai protagonisti e, in mezzo ad essa, galleggia  una barchetta dove giace Antonio, il Mercante, che in scarpe da ginnastica e camicia rosse come il fuoco, preso da un romantico spleen, esordisce “…il  mondo è un palcoscenico sul quale ognuno recita la parte che gli è assegnata, quella mia è triste”.

Il rosso che abbonda mischiato al viola, coraggio ci vuole coraggio Signori!  ma  in questo spettacolo non manca, attori tutti bravissimi, uniti ma distinti, vestiti di redingote nere e mantelli di vinile, i costumi  femminili un po’ Gaultier e un po’ punk, ma nulla è messo lì per farci perdere il significato del testo, per sviare la nostra attenzione. Succede, a volte succede e ti chiedi perché mai e allora pensi che era meglio un allestimento tradizione all’esibizionismo e al narcisismo del regista in vena shakespeariana.

E che dire della chitarra rock suonata dal vivo e la canzone in stile Gaber sull’acqua minerale, che è poi uno degli sponsor dello spettacolo, cantata dal personaggio di Graziano, un po’ intrattenitore, saltimbanco, imbonitore,  forse un alter Ego dell’A.?

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La ricca e magnifica Venezia di cui l’Autore mette in risalto la corruzione, il potere e gli intrighi, la grande repubblica marinara capace di accogliere, per puro interesse, stranieri e uomini d’affari, aperta e conservatrice, diventa il palcoscenico della lotta tra un cristiano, Antonio e un giudeo, Shylock, l’usuraio che chiede sia fatta giustizia, che pretende la libbra di carne al posto dei soldi, come vorrebbe invece il “giusto”  tribunale di Venezia. Ma lui è irremovibile, inflessibile, di fronte alla doppiezza cristiana non meno colpevole ma più incline ai compromessi.  Shylock che nella regia di Renda non è il cliché dell’usuraio, vecchio e cencioso, ma tutto il contrario, un giovane affascinante, crudele e diabolico,  che recita le sue ragioni di fronte al Doge nello splendido accorato assolo “Mi ha maltrattato e defraudato di mezzo milione; ha gioito delle mie perdite, deriso i miei profitti,disprezzato il mio popolo, ostacolato i miei affari, allontanato i miei amici, saziato i miei nemici. E per quale ragione? Perché sono ebreo. Non ha occhi un ebreo? non ha mani un ebreo ? organi, consistenza, sensi, affetti, passioni, non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non soffre delle stesse malattie, non è curato con gli stessi rimedi,scaldato agghiacciato dallo stesso inferno dalla stessa estate di un cristiano? E se ci pungete non versiamo sangue? Se ci fate il solletico non ridiamo?
Se ci avvelenate non moriamo? E se ci fate un torto, non ci vendichiamo? Se siamo a voi uguali in tutto il resto perché non assomigliarvi anche in questo. Se un ebreo fa un torto ad un cristiano, a che si riduce la sua carità? Alla vendetta. Se fa torto ad un ebreo quale esempio elevato di sopportazione gli mostra un cristiano perfetto? Solo vendetta. Io metterò in pratica la malvagità che ci insegnate e non sarà difficile che io vada anche oltre , ben oltre l’insegnamento.“ .

Un Doge che è come un convitato di pietra, con gli occhi bendati, ricoperto da un veste isotermica, dorata e luccicante come l’oro di cui si parla nella vicenda parallela di Porzia la nobildonna di Belmonte astuta e coraggiosa, innamorata di Bassanio, il giovane squattrinato che porterà l’amico Antonio alla rovina.

Non sto a raccontarvi la trama, mi auguro siate lettori curiosi di rileggervi il testo prima o dopo aver visto lo spettacolo di Renda, scegliete voi ma vedetelo, vedetelo, vedetelo! Io mi sono divertita molto, come sempre quando l’intelligenza, la passione e la bravura, amalgamate inseme qui dalla mano energica e gentile di Filippo Renda, si vedono, si assaporano, si sentono  e infine si applaudono.

C’è del metodo nella loro follia…

Daria D.

IL MERCANTE DI VENEZIA
Produzione Elsinor- Centro di Produzione Teatrale
Di William Shakespeare
Adattamento e regia Filippo Renda
Con Sebastiano Bottari, Mauro Lamantia, Mattia Sartoni, Beppe Salmetti, Francesca Agostini, Irene Serini, Simone Tangolo
Scene e costumi Eleonora Rossi
Assistente costumista Alice Mancuso
Luci Marco Giusti
Assistente alla regia Valeria De Santis
SHAKESPEARE FILES #5
Foto di Onstagestudio.photo Sonia Santagostino
 

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