Festival Puccini, Torre del Lago, Auditorium Enrico Caruso. Sabato 13 agosto 2016
“Turandot” viene automaticamente associata al nome di Giacomo Puccini, ma non va dimenticata anche l’altra omonima opera, composta e scritta da Ferruccio Busoni, prendendo spunto dall’opera di Carlo Gozzi. Due opere molto differenti (questa di Busoni, mettendo insieme sia dialogato che cantato è forse definibile “Opéra-Comique”): quella di Puccini dilatata e sentimentale; quella di Busoni asciutta, ironica, rapida, composta da pezzi chiusi e con un forte richiamo alla Commedia dell’Arte.
Il soggetto è perlopiù lo stesso, che pone la principessa Turandot in quanto femme fatale che manda all’uccisione i suoi pretendenti tramite i suoi indovinelli complicati. Poi però arriva Calaf, che si propone letteralmente come il “Principe Azzurro”, deciso a conquistare la donna rischiando la vita. Egli riesce a sciogliere i tre difficili enigmi e come vuole la regola imposta colui che sarebbe stato in grado di riuscire in questa impresa avrebbe avuto Turandot in sposa. Lei però non è convinta e così l’uomo, che non vuole abusare di lei, fa un’altra proposta: ora sarà lui a invitare la principessa a sciogliere un suo enigma e se ce la farà solo allora si sposeranno. Turandot è in realtà innamorata di lui, ma ha paura di perdere la sua libertà, nonostante questo alla fine l’amore trionfa e così ella scioglie l’indovinello. Infine abbiamo così il classico finale fiabesco del “tutti vissero felici e contenti”.
La scena è fissa ed è composta da una tenda a centro palco, affiancata da due piante di palma. I costumi dei personaggi fanno pensare a un’epoca mitica, fiabesca, come ripresi da quelle tele d’inizio Ottocento che non ritraevano un Oriente realistico, ma idealizzato. I movimenti del coro e gli atteggiamenti teatrali e mimici dei presenti sul palcoscenico ci fanno pensare agli antichi film muti, intenti a fare dell’ambiente un grande quadro, a volte anche un po’ affettato e volutamente pomposo e posticcio.
Turandot è sulla scena vestita in modo sensuale, proprio per raffigurare la femme fatale che tutti desiderano, ma che non si concede. Il personaggio è ben interpretato dalla soprano Cristina Martufi, che rende la protagonista al di fuori della comicità generale dell’opera, accentuando nel personaggio quegli elementi “pucciniani” che fanno parte del dubbio e del sentimento.
Buona anche la prova del tenore Michael Alfonsi nella parte di Calaf, un pretendente coraggioso e incosciente, che supera le prove imposte attraverso la sua spontaneità e la sua ironia.
Divertente la prova del trio di personaggi che compongono il resto della famiglia: il re Altoum Davide Mura, un basso dotato di un ottimo senso della comicità, rinforzata poi dai suoi figli Pantalone (Andrea del Conte) e Tartaglia (Franco Cerri), con il primo che parla in veneziano stretto e con il secondo che, appunto, tartaglia, alimentando il divertimento del pubblico.
La musica gioviale, ma ritmicamente complessa di Busoni, capace di unire la modernità all’orecchiabilità, è ben diretta dalla giovane Beatrice Venezi, alla guida dell’Orchestra del Festival Puccini, elegante ed estremamente precisa nei suoi movimenti, a tratti asciutti e rigidi, a tratti dinamici e fluidi, come vuole la partitura.
In complesso un allestimento semplice, ma piacevole, dove si è assistito a una buona prova da parte dei cantanti e dell’orchestra e a una regia di Alessandro Golinelli, che ha provveduto anche alle scene, ben congegnata.
Stefano Duranti Poccetti