Al Piccolo Teatro di Milano dal 19 gennaio al 12 febbraio 2017
Una grande fatica e non solo per le quasi tre ore di spettacolo del Pinocchio di Antonio Latella, in scena al Teatro Strehler di Milano dal 19 gennaio al 12 febbraio. Una fatica per gli spettatori e, soprattutto per gli attori, in primis l’instancabile Pinocchio di Christian La Rosa (chapeau!), costretto a una continua recitazione iper eccitata, sopra le righe, invadente, ossessiva, ripetitiva. Simile è anche per il registro recitativo di tutti gli altri attori per tutto lo spettacolo. Costantemente in scena, disegnano figure sullo sfondo, decorazioni sceniche che completano e arricchiscono. Per poi comparire a dar voce e vita agli animali che accompagnano Pinocchio. Il grillo, naturalmente, dalle suggestive lunghissime antenne. Il merlo e la colomba che trasporta Pinocchio sul mare.
Molto, molto spesso il colpo d’occhio complessivo è affascinante e non banale.
Le suggestioni visive sono certamente l’aspetto più godibile e piacevole dello spettacolo. La suggestiva e continua pioggia di trucioli di legno che arricchisce quasi tutto il primo atto. L’atmosfera magica dell’inizio del secondo: lunare e fiabesca nella nebbia appena accennata. L’inquietante abbigliamento di quasi tutti gli attori: una bambinesca “tuta gioca-dormi” con bottoni che a chi scrive ha inspiegabilmente richiamato i costumi della gang di Arancia Meccanica.
A proposito di costumi di scena, Pinocchio non è né bambino (come inspiegabilmente appare invece nella immagine della locandina), né adolescente, né giovane, ma uomo in pantaloncini corti e completo nero da skater (?) con para gomiti e para ginocchi. Un richiamo involontario alle divise dei giovani nazisti?
Nonostante il Geppetto di Latella sia molto più fantasioso, creativo e dinamico della tradizione, il pensiero di fondo, la traccia costante è comunque cupa. “Da quando sono al mondo non mi è capitato un quarto d’ora di belle cose”. “Il ricordo è il lato patetico della memoria”. “Il problema non è morire ma vivere”. “Brutto porco di un padre bastardo”. E poi un assolo di tutte le possibili male parole, per lo scoramento profondo di chi ha malauguratamente portato bimbi, ingannato dal titolo dello spettacolo, a simboleggiare, si immagina, la violenta ribellione nei confronti di chi cerca di plasmare l’anima del fanciullo burattino. La sala ride, un poco imbarazzata, forse per stemperare la tensione accumulata in precedenza per via della recitazione sopra le righe.
Nell’aria una sensazione di luoghi di ribellione comuni e molto retorici. “L’obbedienza del ragazzo ciuchino fa arricchire il milionario”.
L’epilogo, che ovviamente non sveleremo, non è certo un happy end. In linea con il nichilismo cosmico non è caratterizzato dai tradizionali festeggiamenti della trasformazione in “bambino vero”.
Dimenticavamo: la tradizionale crescita del naso non è più esclusivo appannaggio delle bugie, ma espressione di una fame, della cui urgenza ci siamo per fortuna dimenticati, ma che a fine ottocento era certamente una vivissima realtà.
Guido Buttarelli
Drammaturgia Antonio Latella, Federico Bellini, Linda Dalisi
Regia Antonio Latella Scene Giuseppe Stellato Costumi Graziella Pepe Musiche Franco Visioli Luci Simone De Angelis
con Michele Andrei, Anna Coppola, Stefano Laguni, Christian La Rosa, Fabio Pasquini, Matteo Pennese, Marta Pizzigallo, Massimiliano Speziani
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa