Roma, Teatro Lo Spazio. Dal 2 al 7 maggio 2017
Aiace, nella versione del poeta greco Ghiannis Ritsos, è in scena al Teatro Lo Spazio fino al 7 maggio. Il regista Graziano Piazza ha scelto i suoi poemetti, nella traduzione di Nicola Crocetti, e li ha affidati al talento di Viola Graziosi sul palcoscenico. Sola, come l’eroe nella tragedia di Sofocle, con i tormenti, i ricordi, i fallimenti, le dolenti note sì del personaggio ma anche e soprattutto di Ritsos stesso, che scrisse i suoi versi durante la terribile prigionia del regime dittatoriale dei colonnelli (1967/1974). E allora ecco che la consapevolezza dell’impotenza di Aiace diventa quella di ogni essere umano, messa a nudo da un sistema in cui la volontà di autodeterminazione dell’uomo, ormai smarrito, si scontra con i capricci degli dei, con l’ignoto destino. Un limite per lui inaccettabile di fronte al quale, per ritrovare qualcosa di sensato, forse è necessario perdere tutto, anche la vita stessa, per riappropriarsene degnamente.
Viola Graziosi, in poco meno di un’ora, deve affrontare la non facile doppia impresa di dare un’anima femminile ai pensieri dell’eroe, e di non rimanere schiacciata da un testo difficilissimo, per chi deve recitarlo, e di non semplice comprensione per lo spettatore, va detto. Suggestiva e funzionale la “scenografia musicale” di Arturo Annecchino, suoni, rumori, bisbigli, sciabordio d’acque, cinguettii e la regia di Piazza calibratissima sull’interprete, conduce al passaggio finale con la sua voce fuori campo a riprenderne corpo e intenti. Nella scomparsa degli “eroi”, che sono sopraffatti dal fato e fuggono, la figura femminile rimane paradossalmente simbolo della capacità di poter rimettere in contatto l’umanità con quel “mondo che si desta” senza la stupida pretesa di mettervisi in competizione. Abbandonare il clangore delle armature e riconoscersi armonicamente parti di un universo. Riaprire le porte, riaprire le finestre, disserrare la città. Tornare ad essere.
Paolo Leone