Franco Battiato apre il Napoli Teatro Festival

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Ad aprire l’edizione del Napoli Teatro Festival, la prima con la direzione artistica di Ruggero Cappuccio, sarà Franco Battiato che si esibirà in Piazza Plebiscito il 5 Giugno con un concerto gratuito. I temi di questa rinnovata edizione del Festival, che si basa anche sull’interferenza e l’osmosi tra le arti performative e la musica, tra l’espressività corporea e la voce, come ha dichiarato Cappuccio in più interviste, si rispecchiano e si coagulano quasi anche in molti aspetti dell’itinerario creativo e delle opere musicali del cantautore siciliano. Dopo la prima fase sperimentale degli anni Settanta, in cui, come per gli intellettuali e i poeti del Gruppo ’63, Battiato si dedicava alla produzione di collages di materiali sonori montati in studio, che univano frammenti di suono, come per esempio un vetro rotto, alla musica di un ’orchestra o a un coro, la ricerca di Battiato in campo musicale riceve un grande impulso dagli studi di Georges Ivanovitch Gurdjieff, per la mediazione di Henri Thomasson. Nasce così una personalissima inchiesta sulla dimensione meditativa e sul raggiungimento di quello che definisce in un noto refrain il “centro di gravità permanente”. Successivamente Battiato farà sue le dottrine esoteriche orientali come il Sufismo, con temi che ritorneranno nelle canzoni E ti vengo a cercare, L’oceano di silenzio, L’ombra della luce. Come documentato nel saggio di Luca Cozzari, Franco Battiato pronipote dei padri del deserto (Rapallo, Editrice Zona, 2000) dopo il periodo sperimentale e una successiva “età della canzone”, aperta nel 1979 con L’era del cinghiale bianco, verso la fine degli anni Ottanta Battiato si impegna sul versante operistico, cercando nuove soluzioni formali. Molto rilevante è sicuramente il contributo del compositore siciliano alla lingua della canzone italiana: i suoi testi possono considerarsi come vere e proprie poesie. Ricchi di intersezioni plurilinguistiche, che sconfinano nell’inglese (soprattutto nelle citazioni del repertorio rock degli anni Settanta) e nell’inglese parlato da ebrei e packistani, nel tedesco, nel siciliano, nell’arabo i suoi testi sono tutti giocati sull’accostamento di sonorità così diverse e uniche, unite poi dai ritmi salmodianti che riconducono alla ritualità delle preghiere in latino ascoltate nelle messe da bambino. Le sperimentazioni poetiche sulle sonorità della lingua, la ricerca delle radici, che si metaforizza nel siciliano, come dell’arabo, ne fanno uno dei più arditi sperimentatori del plurilinguismo nella canzone italiana: l’inevitabile attrazione tra parola e musica, la sperimentazione formale, la ricerca sulle radici delle oralità del dialetto contaminate con le lingue straniere avvicinano per questo la lingua delle sue canzoni anche alla lingua di scena del teatro contemporaneo.

Carmela Lucia

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