Enrico Stinchelli porta al Castello di Maniace, la sua Carmen

Data:

Al Castello di Maniace di Siracusa, 14, 23 luglio e 5 agosto 2017

Enrico Stinchelli ha aperto il 14 luglio 2017 con “Carmen” di Georges Bizet il Mythos Opera Festival, e replicherà il 23 luglio e il 5 agosto 2017 a Siracusa, all’interno del Castello di Maniace, luogo meraviglioso affacciato sul mare con un grande Piazzale delle armi e possenti mura di pietra chiara che fungono da scenografia naturale, ma che ha il difetto, peraltro non adeguatamente segnalato, di essere all’interno della ZTL di Siracusa con il parcheggio a 1,5 Km.

La scelta di dare un’opera in un luogo grande, dispersivo e soprattutto non nato per gli spettacoli ha evidenziato non pochi problemi acustici risolti con l’utilizzo di microfoni a terra, che purtroppo hanno amplificato anche il frusciare del vento e il calpestio dei passi sulle tavole. Inoltre, forse per l’esigenza di farsi sentire dalla platea, quasi tutti gli artisti, tendevano a cantare in proscenio, rendendo molto statico lo spettacolo e trasformando l’interpretazione in mera esecuzione, monca di quell’aspetto recitativo che è strutturale in un’opera di questa portata. Un problema non da poco, visto che a risentirne è stato l’intero spettacolo nel quale sono mancati la sensualità, la passione e il carattere deciso e libero di Carmen, sebbene Federica Carnevale abbia un timbro vocale molto interessante caratterizzato da un bel colore bruno. Roberto Cresca la cui voce sembra ancora troppo acerba per un personaggio così sfaccettato, interpreta un Don Josè nel quale il passaggio da amante appassionato a crudele carnefice, viene reso in modo poco convincente e senza l’aggressività e l’odio verso l’amata gitana che sarebbe stato necessario nei momenti che precedono il suo assassinio. Inoltre in diversi passaggi abbiamo sentito parecchie imprecisioni, dalle note tremule e calanti a un suono poco proiettato, per una prestazione alquanto deficitaria e deludente.

WElena Bakanova, che vestirà i panni di Micaela anche per la recita del 23 luglio, per essere sostituita poi da Tea Purdselatze, ha un registro pulito, non manca di tecnica e nell’aria Je dis que rien ne m’épouvante accenna a una sacralità recitativa coinvolgente. Graziano D’Urso godendo di una buona pasta baritonale regala al pubblico un Morales all’altezza della situazione, sempre attento all’articolazione e alla pronuncia mentre Igor Chernii (tenente Zuniga) ha un buon fraseggio e appare sulla scena disinvolto così come Sergei Murtazin (Escamillo) sebbene emerga dal punto di vista canoro una tensione vocale poco in linea con il suo personaggio.

L’arrivo dei due contrabbandieri Dancairo (Riccardo Palazzo) e Remendado (Antonio Pannunzio) porta una sferzata di energia. Mentre le esecuzioni sono, in generale, segnate da alti e bassi, il quintetto Nous avons en tête une affaire merita una considerazione a parte non solo per il brio con il quale è stato eseguito ma anche per la bravura dei cantanti, i quali hanno mostrato le qualità delle loro tessiture vocali in un contesto dinamico, che ha reso l’insieme omogeneo esaltando, al contempo, ogni singola voce, dalle due soprano Sabrina Messina (Mercedes) e Marzia Catania (Frasquita), al duo Palazzo e Pannunzio, oltre alla Carnevale.

L’Orchestra Filarmonica di Catania, composta per la maggior parte da giovani musicisti e diretta da Mirco Roverelli, ha offerto una buona prova nonostante alcuni passaggi evidenziassero carenza di pathos.

Malgrado le difficoltà acustiche del luogo, il Coro Lirico Siciliano, diretto da Francesco Costa, ha affrontato superbamente la sfida, offrendo, come già in altre occasioni, un’ottima prestazione anche se, in qualche momento, al di sotto degli alti standard a cui da tempo ci ha abituati.

Dal punto di vista registico Stinchelli, che ha firmato anche le scene, offre uno spettacolo, forse anche per le ragioni dette, piuttosto statico e poco interpretato dai cantanti, reso un poco dinamico solo dagli interventi di buona qualità dei danzatori utilizzati peraltro, secondo una sempre più diffusa e disdicevole abitudine dei registi, per riempire ouverture e intermezzi togliendo in alcuni passaggi spazio alla solennità del suono.

Per quanto riguarda le scene, non è chiaro cosa sia successo. Osservando qualche foto di presentazione abbiamo notato un grande ventaglio color ocra sul lato sinistro del palcoscenico adornato ai lati da grandi rose rosse che a un certo punto, avrebbe lasciato il posto a quattro carte da gioco, contribuendo alla creazione di quel colore locale tanto ricercato da Bizet. Tuttavia in occasione della prima, forse per il forte vento o forse per scelta di regia, il ventaglio è stato disposto a terra in proscenio, svilendo la sua funzione e perdendo di maestosità, mentre sul lato opposto dominavano le grandi rose rosse, che, di fatto, insieme a qualche piccolo tavolino e alcune sedie sono state l’unico elemento scenografico.

I costumi, custoditi da qualche tempo presso la Fondazione Cerratelli a San Giuliano Terme, sono stati frutto del genio creativo di Emanuele Luzzati, la cui visione onirica poco si sposa con la veridicità di questa Carmen. Gli abiti femminili dell’artista genovese hanno ampie balze sulle gonne e sono ricchi di colore, porpora, indaco, verde, per finire con un austero abito nero indossato da Carmen nell’ultimo atto, con ruches tono su tono sulla gonna e rosse attorno alla scollatura, mentre le uniformi maschili di foggia ottocentesca, sfruttavano i toni del blu e del giallo per il frac a giacchetto e dell’avorio per i calzoni a vita alta. Di grande impatto visivo è l’abito in velluto nero di Escamillo impreziosito da inserti dorati e in pieno stile tradizionale spagnolo.

Laura Cavallaro

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