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La maschera di Don Giovanni al Teatro Bellini di Catania

Data:

In scena al Teatro Massimo Bellini di Catania dal 13 al 20 ottobre 2017

E’ perfettamente in linea con l’immagine dissacrante del protagonista la scena, che il regista Francesco Esposito ha pensato per il Don Giovanni, lineare ma con forti rimandi metaforici. Già entrando a teatro siamo immersi in un’atmosfera che vuole attirarci all’interno del racconto mentre uomini e donne in costume e con il volto coperto da maschere affollano il ridotto, la sala e i palchi. Il tema della maschera è presente durante tutto lo spettacolo, sotto forma di feticcio con le maschere-sculture in metallo di Franco Armieri, come elemento scenografico calato dall’alto e naturalmente coprendo il volto dei personaggi e del coro. Insomma, l’escamotage perfetto attraverso il quale ordire l’inganno ai danni dell’ignara vittima visto che la maschera permette di cambiare identità ma anche di guardare senza esser visti.

In questo continuo ricorso all’elemento simbolico non manca un medaglione con l’effige del seduttore che campeggia al centro della scena nel primo atto e che ritroviamo al collo delle giovani vittime, quasi fosse un marchio, fino a diventare la pietra tombale nel momento della discesa agli inferi. Il fascino femminile è effimero per Don Giovanni, il suo istinto lo porta a insidiare qualunque donna incontri ma giunto al suo scopo la passione avvizzisce proprio come un fiore, e difatti i petali di rosa con i quali cosparge le fanciulle nel rituale dell’accoppiamento alla fine dello spettacolo perdono il colore rosso per trasformarsi in un unico, grande e dorato elemento scenico.

Dicevamo che lo spettatore è chiamato in prima persona a vivere l’opera, un meccanismo al quale contribuiscono principalmente i cantanti che, invadono la platea entrando da fondo sala, comunicano tra loro dalle barcacce laterali, interagiscono, sebbene in modo discreto, con i fruitori in platea così come la scena che sconfina oltre l’arcoscenico attraverso una passerella, rompendo la quarta parete. Il contesto, dunque, è frenetico come l’indole di Don Giovanni, in un continuo agire dei personaggi nello spazio che talvolta svela una stanchezza fisica nei cantanti.

Nel coniugare il contemporaneo al classico il fondale si chiude come un obiettivo, lasciando un rettangolo illuminato talvolta in blu altre in rosso, mentre il palcoscenico in forte declivio si riempie di botole, usate come nascondigli dai personaggi.

Il soggetto, caro alla letteratura classica, si rintraccia già nel teatro dei Gesuiti, poi in Tirso de Molina, in Molière e Goldoni prima che l’impresario Bondini lo commissioni a Mozart, con il libretto di Da Ponte, nel 1787 per il Teatro degli Stati di Praga. Un dramma giocoso nel quale i personaggi si dispongono come nel teatro leggero, con Leporello che ricorda un servo della Commedia dell’arte e il suo padrone sempre pronto alla beffa e al travestimento pur di assecondare il suo istinto. Nell’opera, dove non mancano risvolti tragici, come la violenza subita da Donna Anna e l’assassinio di suo padre, l’urgenza di condannare i misfatti di Don Giovanni è affidata all’intervento di un agente soprannaturale.

Al contrario della scena che non permette una connotazione spazio-temporale (nessun elemento richiama la Spagna descritta nella didascalia del libretto), i costumi firmati dallo stesso Esposito hanno invece foggia settecentesca, con lunghi cappotti in raso, mantelli e corsetti. L’intento è certamente quello di disorientare lo spettatore facendolo comunque rimanere sempre vigile rispetto all’azione, siamo di fronte a un anti-eroe con il quale non ci si può immedesimare ma che non si può nemmeno detestare.

Il baritono Vittorio Prato, nei panni del personaggio eponimo, funziona dal punto di vista recitativo, anche se un po’ meno da quello vocale, dove le difficoltà maggiori sono legate a una tessiture grave insufficiente e a una risonanza contenuta che limita l’ascoltatore anche durante i recitativi. Se Francesco Palmieri non brilla, offrendo una performance segnata da un volume scarso e da un’emissione vaga, con la quale rende poco accattivante il personaggio del Commendatore, nel complesso, è buona la prestazione di Gabriele Sagone, nei panni di Leporello, degno contraltare di Don Giovanni.Il servo è pienamente consapevole del fatto che il suo padrone manchi di morale, è per questo che tenta di mitigare il malumore di Donna Elvira mostrandogli la vera natura dell’uomo attraverso un’articolata interpretazione dell’aria “Madamina, il catalogo è questo”.Nonostante le vocalità abbiano patito in alcuni momenti solistici, nei terzetti (“Ah taci, ingiusto core”), quartetti (“Non ti fidar, o misera!”) e sestetti sono riuscite a uniformarsi senza difficoltà per un risultato davvero ottimale.

Dunque l’attenzione non può che focalizzarsi sulla prima coppia, composta da Francesco Marsiglia e Annamaria Dell’Oste rispettivamente Don Ottavio e Donna Anna. La voce del tenore è godibile all’ascolto ma è con un’interpretazione controllata e mai eccessiva che conquista i presenti, tanto che la tensione emotiva accumulata durante una delle sue arie, ”Dalla sua pace la mia dipende”, è sciolta alla fine da un lungo applauso. Il soprano Dell’Oste è una vera eroina drammatica, ha un timbro squillante, i suoi virtuosismi sono ineccepibili e il fraseggio è riccamente caricato di pathos.

DON GIOVANNI 2Diana Mian, per un’indisposizione di Esther Andaloro, si trova a dover interpretare Donna Elvira anche per il primo cast, un ruolo borderline tra l’isteria e la sottomissione, nel quale il rifiuto innesca la sofferenza più volte messa a tacere dall’alcol. Siamo di fronte a una vocalità calda e bruna che si sposa alla perfezione con l’irrequietezza del personaggio al quale purtroppo sembra mancare qualche tratto interiore forte.

Anche l’altra coppia formata dai due innamorati Zerlina e Masetto è solida, Manuela Cucuccio è a suo agio nei panni della contadina che sulle prime cede al fascino del bellimbusto per poi rinsavire. Una figura femminile a tuttotondo nella quale coesistono l’ingenuità e la seduzione, soprattutto ai danni del povero Masetto (Giulio Mastrototaro) che non può far altro che arrendersi all’amata dopo l’aria “Batti, batti, o bel Masetto”. Innegabili doti attorali supportate da una grande agilità vocale.

La direzione musicale del maestro Salvatore Percacciolo non è per nulla pomposa piuttosto punta a un ascolto intimistico dall’atmosfera rarefatta. Anche la scelta registica di eseguire l’ouverture a sipario chiuso è un’esperienza poco convenzionale ma alquanto ricercata, forse un omaggio a quanto sosteneva Kierkegaard, secondo cui “Don Giovanni non dev’essere visto, ma ascoltato!”.

Una lettura per nulla tradizionale che vuole affacciarsi verso un nuovo linguaggio teatrale a cui il pubblico catanese è certamente poco avvezzo, ma che di fatto è stata alquanto apprezzata.

Laura Cavallaro

DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti K 527
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Salvatore Percacciolo
Regia Francesco Esposito
Personaggi principali e interpreti
Don Giovanni Vittorio Prato | Davide Fersini (R, S1, S2)
Donn’Anna Annamaria Dell’Oste | Federica Alfano (R, S1, S2)
Don Ottavio Francesco Marsiglia
Il Commendatore Francesco Palmieri
Donn’Elvira Esther Andaloro | Diana Mian (R, S1, S2)
Leporello Gabriele Sagona | Francesco Verna (R, S1, S2)
Masetto Giulio Mastrototaro
Zerlina Manuela Cucuccio
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO MASSIMO BELLINI
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Maestro al cembalo Paola Selvaggio
Allestimento del Teatro della Fortuna di Fano
con sovratitoli in italiano ed inglese
Prima rappresentazione
Venerdì 13 Ottobre ore 20.30 (Turno A)
Repliche
Sabato 14 Ottobre ore 17.30 (Turno S1)
Domenica 15 Ottobre ore 17.30 (Turno D)
Martedì 17 Ottobre ore 17.30 (Turno S2)
Mercoledì 18 Ottobre ore 20,30(Turno B)
Giovedì 19 Ottobre ore 17.30 (Turno R)
Venerdì 20 Ottobre ore 17.30 (Turno C)

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