Al Teatro Anfitrione di Roma, fino all’11 marzo 2018
Ad un certo punto della vita bisogna fermarsi per fare un rapido consuntivo di quanto s’è realizzato, di ciò che di positivo s’è tratto come esperienza, eliminando l’infausto e triste avvenuto, per ripartire con più slancio di prima e migliorare la nostra personalità e posizione professionale. A tale regola e prassi consolidata non si sottrae nemmeno il comico Pietro Romano che in ”one man show” spettacolo ci parla prima della proprietà e pertinenza identitaria della romanità, poi della sua esistenza, prima figlio di genitori centro meridionali e poi padre d’una giovane teenager appassionata della tecnologia moderna. Egli sostenuto da un certo Gaetano e poi da quasi tutta la platea nel ritornello umoristico quirite, sottolinea come la specificità dei figli della lupa sia quella di essere superficiali,approssimativi e leggeri negli appuntamenti ed impegni, oltre all’indolenza, pigrizia ed eliminazione della fatica con il decalogo del riposo, rispetto al milanese che è preciso ed industriale, laborioso. Romano dunque lo è come cittadino metropolitano, ma anche come suo nome identificativo capace d’incantare il pubblico con la sua eloquenza sciolta; brio salace e caricaturista, istrionismo da seduttore, come mostra nel secondo tempo. Egli aveva un padre calabrese, capogruppo di comparse a Cinecittà, perciò egli debuttò da piccolo nel mondo dell’arte amando tenori e baritoni, recitando arie alle donne verso cui sentiva una naturale timidezza. Poi Romano ha estasiato il pubblico con due belle canzoni sentimentali in cui è stato accompagnato da uno splendido corpo di ballo femminile ed un imponente orchestra. La madre, insegnante abruzzese, avrebbe voluto che sfruttasse più convenientemente il suo diploma tuttavia la passione non si cancella e quindi prese la via del cabaret, recital e classica comicità, tanto che viene invitato ad interpretare come attore sostituto del protagonista Laio, improvvisamente ammalatosi, nei ”Sette a Tebe” di Eschilo. Il suggeritore dietro le quinte viene frainteso dall’attore che non conoscendo la parte, vengono fuori “chicche” di gustosa e spiritosa ignoranza fuori luogo. Per la sfera della famiglia Romano sottolinea come dal ruolo di figlio sia passato a quello di padre e qui sta una grande differenza generazionale,prima se il padre non riusciva a convincerlo in 5 minuti gli dava una sberla, ora invece il genitore deve essere più amico che autoritario con la figlia di diciassette anni e dialogare con lei che gli manda un messaggio su Facebook, ma lui non sa entrare su Whatsapp per comunicare con lei. Bisogna dire che questi mezzi tecnologici rappresentano un serio ostacolo comunicativo per la vecchia fascia sociale. La tecnologia ha provocato una crisi nei rapporti come i drammi continui nella scuola odierna,come falsi contatti ed intrusioni e pedofilia.
Susanna Donatelli