“Il rispetto di una puttana”. Teatro di denuncia che non convince

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In scena venerdì 6 aprile 2018 al Centro Zo di Catania

L’intento è forse tra i più lodevoli, quello di creare una compagnia composta da attori professionisti e non, anche se su quest’aspetto qualche perplessità è d’obbligo, composta da migranti ma il risultato per “Il rispetto di una puttana”, riscrittura del testo teatrale di Jean-Paul Sartre ad opera del regista Giuseppe Provinzano, è un’operazione fine a se stessa. La pièce perde di vista l’aspetto fondamentale della tematica dell’emarginazione, della diversità per diventare una favoletta annacquata, nella quale gli attori si ergono su un pulpito senza avere la capacità di portare fino in fondo un’accusa concreta di fronte alla società, rimanendo piuttosto imbrigliati nei luoghi comuni. Un tipo di teatro che strizza l’occhio a tutti i costi ai grandi interpreti della scena contemporanea e sperimentale senza riuscire a replicarne le gesta ma facendo sfoggio di sé, nel training iniziale, nell’uso compulsivo della fisicità e in quello assordante della musica, nelle battute urlate ai microfoni e nelle luci a led. Ci chiediamo allora a che pro tutto questo? Soprattutto alla luce del fatto che spesso era difficoltoso riuscire a sentire le battute perché alcuni attori le pronunciavano in fretta e senza battere le finali. La rottura degli schemi, dunque, è da escludere perché sono tutte soluzioni già viste per cui l’unica cosa che ci resta da osservare è che l’idea embrionale sia sostanzialmente rimasta tale.

Il dramma che si consuma in questa ipotetica città di cui si conoscono le brutture elencate dagli ultimi, dagli emarginati, da chi ne vive ai confini, è quello di un tentativo di violenza ai danni di una donna, Lisa, una prostituta che dice di non accettare denaro per passare la notte insieme ai suoi uomini. Giunta in città viene aggredita da un gruppo di individui a volto coperto e nel tentativo di aiutarla uno dei due ragazzi neri intervenuti rimane ucciso da un bianco, che come si scoprirà poi è considerato da tutti un cittadino “perbene”. Da quel momento in poi l’obiettivo di Alfredo, il nazista cliente di Lisa, e Maria, sua compagna e personaggio inedito che racchiude dentro di sé quello sartriano del Senatore e della sorella Mary, sarà di convincere Lisa ad accusare il nero Doudou dell’omicidio in modo da scagionare l’amico bianco. Inizialmente la donna accetta per entrare a far parte anch’essa di quella comunità, in un secondo momento ritratta tutto per scappare insieme a Doudou, intanto che un altro capro espiatorio su cui far ricadere la colpa è stato trovato.

Manca la giustizia in questo finale troppo amaro e non basta neppure la riflessione sull’accaduto per avviare un percorso di crescita e cambiamento, piuttosto a emergere è un vortice infinito di violenza. Anche quel tentativo di universalizzare il racconto fallisce miseramente nella battuta finale “amunì” (un riferimento al nome del progetto? Vincitore del Bando Migrarti 2017 indetto dal Mibact) che lo radica alla realtà palermitana, con il rischio di banalizzare una questione oggi come allora di estrema attualità in tutto il mondo. Molti passaggi drammaturgici non sono chiari e anche alcune scelte registiche lasciano perplesso il pubblico catanese che ha freddamente applaudito alla fine un lavoro che poteva diventare un momento di riflessione ma che non è riuscito a fare il salto di qualità.

Laura Cavallaro

Progetto Amunì by Babel crew
Scritto e diretto da Giuseppe Provinzano liberamente ispirato a “La putain respecteuse” di Jean-Paul Sartre

Con: Marta Bevilacqua, Meniar Bouatia, Molka Bouatia, Bandiougou Diawara, Rossella Guarneri, Yousif Latif Jaralla, Hajar Lahmam, Brigth Onyesue, Luigi Rausa, Andrea Sapienza.

scenografia: Domenico Pellegrino
marionette: Dino Costa
musiche originali: Roberto Cammarata

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