Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali. Dal 25 al 29 aprile 2018
Cristina Comencini ha il dono di far riflettere esprimendo concetti molto profondi con una leggerezza sorprendente unita a una garbata e molto intelligente comicità; in “Tempi nuovi”, la commedia che sta andando in scena con Ennio Fantastichini e Iaia Forte, tutto ciò appare in tutta la sua chiarezza a partire dal titolo in cui tutto questo è presente in una sintesi perfetta, ben velata da un semplicismo solo apparente.
La scenografia di Paola Comencini rappresenta una biblioteca che, protesa verso l’alto e stracarica di libri, rappresenta il sogno di ogni lettore accanito. È lo studio di Giuseppe (Ennio Fantrastichini), un affermato storico specializzato sul periodo della Resistenza e la vicenda è tutta centrata sulla dialettica fra i tempi contingenti e il Tempo, fra la paritetica ma diversa importanza della Storia e delle storie individuali e del flessibile legame tra questi quattro elementi, necessari in ogni epoca nell’esistenza umana, ma declinati in modo diverso in termini di velocità o di ritmi di esecuzione.
Al principio l’uomo appare irrimediabilmente soggiogato dalle attuali tecnologie informatiche, in balia di elementi che non comprende e dipendente in modo imbarazzante da Antonio, il figlio minore (Nicola Ravaioli), un nativo digitale che gli dà tra l’altro una lucidissima e molto precisa lezione sulle modalità di ragionamento dei suoi coetanei. La moglie Sabina (Iaia Forte) è una giornalista apparentemente ben adattata alla rivoluzione digitale e in grado di comprendere con precisone le indicazioni date da Antonio per recuperare un documento “misteriosamente” scomparso dalla scrivania virtuale del marito definito “analfabeta elettronico”, cogliendo pure l’occasione per impartirgli sapute lezioni dall’alto di un “corso di aggiornamento serale” da lei frequentato per non essere licenziata dal giornale in cui lavora.
Questo insano ma comprensibile equilibrio salta del tutto quando Clementina, la figlia maggiore (Sara Lazzaro), giunge portando una notizia dirompente che sconvolge Sabina e lascia Giuseppe inspiegabilmente sereno.
La corsa con handicap del protagonista, trattato inizialmente come un dinosauro proveniente da un’epoca fin troppo lontana, si risolverà in una schiacciante vittoria conquistata con una brillante strategia degna di Ulisse: egli batterà moglie e figlio usando in modo sopraffino i loro stessi mezzi portati a un livello sublime ed elegante grazie all’uso sapiente degli strumenti a lui ben noti del ragionamento, della riflessione e dell’analisi, consapevole che “ognuno di noi ha bisogno di una storia” nella quale riconoscersi.
Senza rispondere alle precedenti provocazioni di Sabina e di Antonio, Giuseppe dimostrerà con saggia semplicità che i cambiamenti ci sono sempre stati, affrontati e vissuti in ogni epoca senza aver mai fatto tabula rasa di quel che era appartenuto al relativo passato, imparando a conoscerne la struttura portante per diventare così attivi utilizzatori di uno strumento e non passivi o inconsapevoli utenti.
Perché non è vero che “il mezzo cambia il contenuto”.
La vera sfida vinta alla fine dallo storico è proprio questa ed è stato proprio bello concludere la visione di uno spettacolo andato in scena a Trieste il 25 aprile, Festa della Liberazione, con le parole di un grande pensatore ben noto al protagonista, suggerito con arguzia ma non esplicitato, che ne riassumono il senso: “Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa.”
Paola Pini