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150 anni dalla morte di Rossini, 150 anni di nuove scoperte

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Gioacchino Rossini aveva avuto ragione quando improvvisamente decise di dire addio all’opera nel 1829. Il compositore sentiva che il mondo operistico stava mutando, il dramma giocoso lasciava il posto alla melodia lunga di Bellini e all’eclettismo di Donizetti. È vero, il mondo del melodramma stava cambiando ed è cambiato realmente, basta ascoltare le opere dalla metà dell’Ottocento fino all’inizio del Novecento di Verdi e Puccini (rimanendo in territorio autoctono) per comprendere quanto il panorama musicale si fosse trasformato nell’arco di un secolo. Eppure l’Autore de Il barbiere di Siviglia e de La Cenerentola mantiene la sua memoria e quest’anno compie i cinquantanni dalla morte. Gioacchino Rossini era nato a Pesaro nel 1792 – ora ospitante il Rossini Opera Festival – ed era deceduto a Passy, in Francia, nel 1868. Amante della bellezza, non poteva che essere appassionato (anche buona forchetta) finanche dell’Arte culinaria – si dice che abbia composto alcune arie mentre cucinava. Ancora l’operista italiano ha i suoi detrattori e non è considerato all’altezza di altri colleghi venuti dopo di lui. D’altra parte, la sua discesa va vista insieme a quella della commedia, sempre più soppiantata a favore del repertorio tragico, ancora oggi considerato intellettualmente superiore. Eppure scrivere opere buffe non è per niente facile, perché creare quei deliziosi giochi d’incastri che siano in grado di allietare il pubblico non è per tutti e Rossini questo l’ha fatto forse meglio di chiunque altro. Le sue melodie poi? Chi ha raggiunto in seguito la sua stessa freschezza, la sua stessa limpidezza, fluidità musicale, forte di una leggerezza mai banale, seppur nell’orecchiabilità? E chi oggi non sa cantare quel famoso: “Ah, bravo Figaro/ Bravo,/ bravissimo/ Ah, bravo Figaro/ Bravo, bravissimo/ Fortunatissimo/ Fortunatissimo/ Fortunatissimo/ Per verità!”? Queste parole del librettista che ad alcuni risulterà sconosciuto, tale Cesare Sterbini, risuonano in noi insieme alla melodia rossiniana, ormai nostro segno distintivo, simbolo di un’Italia vivace e un po’ giocosa che si sta perdendo e che cerchiamo di rifiutare a favore della vita frenetica e automatizzata che certo non fa parte della nostra cultura; a favore della tragedia che siamo ormai avvezzi a vivere a piccole dosi, giorno dopo giorno.

Stefano Duranti Poccetti

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