LUNGHI APPLAUSI ALL’ECOTEATRO DI MILANO PER EDEN, IL NUOVO SPETTACOLO DEL MILANO COTEMPORARY BALLET DIRETTO DA ROBERTO ALTAMURA

Data:

Andato in scena il 9 novembre 2019 all’EcoTeatro di Milano

Debutta all’EcoTeatro di Milano EDEN, il nuovo spettacolo del Milano Contemporary Ballet coreografato e danzato da Roberto Altamura, direttore della compagnia, insieme a Vittoria Brancadoro e Loretta D’Antuono e con la partecipazione dei giovani allievi del Milano City Ballet. In EDEN la danza diventa veicolo di sensibilizzazione, un momento di riflessione sulle attuali problematiche ambientali e sull’inquinamento del nostro pianeta.

Il Milano Contemporary Ballet è tornato in scena lo scorso 9 novembre con EDEN, progetto nato da un’idea del coreografo e direttore della compagnia Roberto Altamura insieme a Vittoria Brancadoro con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sull’attuale situazione ambientale del pianeta.

A tal proposito la performance, della durata di cinquanta minuti, è stata presentata sul palcoscenico dell’EcoTeatro di Milano, prima sala milanese ad aver adottato una gestione sostenibile e ad aver posto al centro della propria azione culturale le tematiche riguardanti l’inquinamento.

Danzano e interpretano la pièce  gli stessi Roberto Altamura, Vittoria Brancadoro e la danzatrice Loretta D’Antuono, accompagnati dagli allievi del Milano City Ballet, centro di formazione coreutica e punto di riferimento per l’avviamento professionale dei giovani danzatori contemporanei.

Ad apertura sipario le luci si accendono gradualmente evidenziando il verde vivido di un manto d’erba sospeso a mezz’aria, mentre in penombra un gruppo di bambini scalzi inizia a saltellare fra piccoli lembi di prato.

Questa scena dalle tinte oniriche racconta di un momento di gioco al parco e comunica un profondo senso di pace ed unione tra l’uomo e la natura.

Lo si capisce anche grazie alle luci pensate da Manuel Garzetta: i bimbi infatti illuminati da un cono blu si divertono a muovere una barchetta di carta come se fosse a galla su un laghetto.

Il pubblico percepisce dal primo istante quella genuinità – oggi perduta – del contatto fra l’uomo e la natura che lo circonda, evidenziata dai piccoli danzatori che calpestano a piedi nudi i tappeti d’erba. Un concetto quello del “contatto libero” che si sposa con la filosofia della danza contemporanea, la quale predilige l’appoggio del piede nudo per migliorare la percezione del suolo.

Questo sogno viene interrotto però dall’entrata in scena di una donna e di una particolare installazione: uno schermo TV.

La danzatrice (Vittoria Brancadoro) interpreta il ruolo di una madre ammaliatrice che persuade un bambino a sedersi davanti allo schermo. Il piccolo entra in uno stato vegetativo, rimane immobile ed ipnotizzato dalla purezza delle immagini trasmesse le quali ritraggono una natura incontaminata e paesaggi idilliaci.

La musica originale che accompagna l’azione scenica è firmata da Paolo Tortiglione e fino a questo momento è dolce e melanconica, un sottofondo che ricorda una ninna nanna o forse Gymnopédie di Erik Satie.

Ma il ritmo musicale diventa scomposto e assordante nel momento in cui la figura materna posa sulla testa del ragazzino un’ inquietante maschera cartacea simile ad una Gorgone.

E’ un copricapo che ricorda agli apparecchi per le simulazioni 3D e sta ad intendere come la bellezza fittizia e l’esperienza digitale, in un tempo dominato dalle macchine, abbiano preso il sopravvento sulla percezione fisica del mondo.

La figura femminile inizia così a danzare le note della partitura con movimenti anch’essi scomposti ed epilettici senza mai togliersi la maschera, filtro visivo che distorce la realtà delle cose.

In lei sta avvenendo una sorta di trasformazione, sta diventando un organismo primordiale che ritorna a vivere in un ecosistema intatto ma irreale, un Eden virtuale.

Nella seconda parte dello spettacolo la musica inizia ad alternarsi ai rumori del traffico stradale e altre due figure prendono parte alla danza, una maschile anch’essa mascherata e una femminile senza maschera (Loretta D’Antuono).

Camminando nello spazio quest’ultima gonfia e sgonfia un palloncino a forma di cuore entrando in un loop :  quando il palloncino vola via la danzatrice crolla al suolo e fa fatica a rialzarsi.

E’ un’azione teatrale semplice ma decisamente lirica e pone l’attenzione sul dramma della fragilità umana in un mondo devastato dal caos e dal frastuono. La caducità del corpo e dell’anima, la perdita di equilibrio, il non aver più punti di riferimento e luoghi riconoscibili intorno a noi, sono le devastanti conseguenze del nostro operato e dell’estremo sfruttamento delle risorse.

Tutto ciò viene ancor meglio trasmesso al pubblico quando la donna inizia a danzare un solo mentre viene travolta da una valanga di bottiglie di plastica.

Tra i cumuli di rifiuti la danzatrice cerca di trovare spazi liberi in cui muoversi ma rimane braccata, inciampando ripetutamente. E’ questo un momento di forte impatto visivo ed il tempo dell’azione scenica sembra congelarsi, cosi come la musica che si interrompe bruscamente per il trambusto creato dal rotolare della plastica.

La donna senza maschera è in grado di vedere e sentire ciò che sta accadendo intorno a sé ed il suo compito è quello di risvegliare i sensi del prossimo, strappargli via la maschera della finzione ed è quello che fa con la figura maschile (Roberto Altamura). Tra i due interpreti ha inizio una danza intensa ed articolata, che ispira un senso di accettazione della materia, di presa di coscienza di ciò che è fisico, corrotto e crudo. Tutto ormai risulta compromesso e madre natura sta morendo sotto i loro occhi per mezzo della mano dell’uomo

Quando l’illusione del paradiso terrestre si infrange, la paura di non riuscire più a respirare nel proprio habitat prende il sopravvento e l’essere umano è spinto a guardarsi allo specchio, ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni.

Perfino la “matrigna cattiva”che fino a quel momento era rimasta esterna alla realtà dei fatti, indisturbata come una medusa in un involucro 3D, non può restare impassibile al marcio che dilaga.

Il mare sporco in cui lei si ritrova a nuotare nella scena finale la incattivisce e la soffoca e lo stesso accade ai suoi “figli” (gli allievi del Milano City Ballet) i quali però sono i primi a liberarsi dalla maschera e a ripulire il palco dal mucchio di bottiglie raccogliendole in una gigante barchetta di carta.

La perfomance, acclamata con lunghissimi applausi, coinvolge il pubblico e lancia un messaggio molto educativo. Invita al rispetto e all’amore per l’ambiente, al bisogno di limitare l’utilizzo delle macchine arrestando il processo di contaminazione del nostro habitat.

Le coreografie ideate dai danzatori, fatte di gesti semplici, happening, passaggi fluidi e naturali,  si fondono col concept design di Mirko Ingrao, essenziale ma di effetto, risultandone una rappresentazione leggibile e scorrevole.

I giovani allievi del Milano City Ballet, messi alla prova con tematiche così delicate ed attuali, interpretano lodevolmente quelle generazioni future chiamate a salvaguardare le bellezze del pianeta.

EDEN conferma che il Milano Contemporary Ballet è fra le compagnie più attive ed interessanti nel panorama della danza contemporanea in Italia.

Impegnata dal 2015 non solo nella presentazione di proprie produzioni ma anche nella diffusione del repertorio contemporaneo internazionale –  si ricorda la collaborazione negli anni passati con lo Studio Wayne McGregor  di Londra –  la compagnia milanese  tornerà presto in scena per il re-staging di The Flock , lavoro creato dalla coreografa spagnola Roser López Espinosa per gli studenti MTD2- Theaterschool di Amsterdam.

Andrea Arionte

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