Un grande Umberto Orsini. “La leggenda del Grande Inquisitore”

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“La leggenda del Grande Inquisitore” “Lo spettacolo è andato in onda su Rai 5 sabato 12 dicembre 2020 alle 21,15.” Dostoevskij è da sempre considerato un pilastro della letteratura mondiale. Tra le opere che lo hanno reso immortale “I fratelli Karamazov” hanno avuto una parte rilevante. Il romanzo ha affascinato un fine artista come Pietro Babina. Il regista emiliano da sempre infatuato dall’avvincente testo ha pensato di estrapolare uno dei capitoli più erosivi per poterlo trasformare in pièce teatrale. Pietro Babina ha con capacità scarnificato le pagine elidendo il superfluo, mettendo così a nudo le vulcaniche emozioni e le alchimie che corrodono la fragile mente umana. Il Grande Inquisitore è né “I fratelli Karamazov” un personaggio di fantasia richiamato in vita dall’ateo Ivan Karamazov per alimentare dubbi teologici al fratello credente Aleksej. Il dirompente spettacolo del regista bolognese evadendo dalle primitive condizioni narrative esalta il valore attoriale di un inossidabile Umberto Orsini che a discapito dei suoi settantotto anni, calca la scena con assoluta padronanza. Il mattatore entra nell’anima del personaggio. Tutti noi ancora lo ricordiamo quando con immensa bravura interpretava Ivan Karamazov. Il celebre sceneggiato televisivo “I fratelli Karamazov” diretto da Sandro Bolchi, malgrado siano passati anni è ancora considerato un prodotto “Eccellenza Rai”. Ne “La leggenda del Grande Inquisitore” Umberto Orsini con una inimitabile prestazione recita la parte un uomo alle prese con dubbi esistenziali. Un uomo fragile, senza più certezze, minato da una crisi mistica che lo attanaglia ed incalzato da una figura ossessiva, diabolica. Un Mefistofele moderno incarnato con bravura da Lorenzo Capuano. In scena, ogni parola, ogni battuta ed ogni oggetto ha un significato. Lo specchio è il simbolo della vita che passa legandosi ad immagini fatue che vacillano di fronte alla complessità dell’esistenza, sulla coscienza turbata e sul valore dell’assoluto. Le certezze divengono incertezze, i valori paiono capovolgersi. Tutto pare irrisolvibile. Solo nell’epilogo si svela l’arcano nelle struggenti parole e nella mimica di Umberto Orsini che con un toccante monologo incanta il pubblico rilevando la sua verità. Alimentando così l’intensità di uno spettacolo suggestivo e meravigliosamente coinvolgente.
Il Regista Pietro Babina, parla così dello spettacolo:

“Credo che uno spettacolo non debba essere un tentativo di risposta, piuttosto il tentativo di condividere una domanda. […] Non si è dunque trattato di attualizzare attraverso la messa in scena un testo che viene da un’altra epoca, né si è dato per scontato che le sue parole siano ancora valide, pronunciabili. Ma si è partiti dal presupposto che lo spettacolo stesso interrogasse il testo, lo mettesse alla prova, al confronto con un “essere” mutato, trasformato. Da questo, nasce l’idea di un Ivàn che si interroga, fa i conti con i suoi contenuti e compie questa sua auto-interrogazione sul punto limite tra vita e morte, tra morte e resurrezione, che non sono la morte e la resurrezione di un uomo, ma quelle di un personaggio e del suo racconto.”
Umberto Orsini racconta il suo personaggio:

“Vivo da quarant’anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij da quando cominciai ad occuparmene in occasione di un romanzo sceneggiato che alla fine degli anni sessanta fu realizzato da Sandro Bolchi per la Rai -TV e che fu seguito da più di venti milioni di persone per otto settimane di seguito. Qualcosa di inimmaginabile oggi. La televisione aveva allora solo due canali in bianco e nero e gli spettatori dovevano prendere o lasciare. Non c’era via di scampo. In quel caso furono fortunati perché quel romanzo “I Fratelli Karamazov” resta uno dei più felici realizzati in quegli anni e devo dire che rivisto oggi (ne è uscita una edizione in DVD edita da Rai Trade) resiste gloriosamente /…/ Sono anni ormai che il romanzo “mai scritto ” da Ivan e raccontato al fratello Alioscia e cioè “La leggenda del Grande Inquisitore” viene citato come un pezzo di letteratura tra i più corrosivi fra quanti scritti da Dostoevskij e allo spettatore informato non saranno sfuggiti i saggi scritti sull’ argomento da Gustavo Zagrebelsky da Franco Cassano o da Gerardo Colombo per segnalare i più recenti. Nel romanzo televisivo quel frammento durava una cinquantina di minuti ed era risolto in modo molto intelligente da Diego Fabbri che ne aveva curato la sceneggiatura. Ivan e Alioscia si incontravano al ristorante e parlando come usualmente i giovani russi dell’ottocento facevano di problemi di fede, di libertà, di armonia, di coscienza, di filosofia o altro si infervoravano con una passione dialettica che molto probabilmente oggi è riscontrabile tra i giovani solo in rari casi e probabilmente intorno a soggetti meno impegnativi. In quell’ottica Ivan si esaltava raccontando di un romanzo che aveva in mente di scrivere e citava ad Alioscia dei passaggi del testo identificandosi nel suo protagonista al punto da assumerne spesso voce e toni apocalittici che poi spezzava con cambi di intonazione ammettendo che così avrebbe parlato il suo personaggio. E allora come ridare oggi in palcoscenico quella scena senza ripeterla così come fu felicemente concepita? Quella era una storia tra un ventenne ed un trentenne. Quelli erano Karamazov. Quella era la Russia della fine ottocento? C’era l’aria corrotta di una famiglia maledetta che avrebbe partorito un delitto. Lì c’era l’ateismo di Ivan, la fede di Alioscia, la presenza del demonio, la critica dell’autore ad un sistema ecclesiastico usurpatore di un’autorità che avrebbe dovuto avere connotati più umani. Oggi? Cosa abbiamo immaginato? Quale contenitore abbiamo scelto? Come far ripetere ad un personaggio (che non è mai esistito se non nella fantasia dell’autore) certe parole? Come mettere sul tappeto una storia senza poi commentarla, senza arrivare a dire: ” Segue poi dibattito” ?E allora abbiamo immaginato un Ivan vecchio ( la mia età ) e un figlio ( che nel romanzo non c’è) ma che ci potrebbe
essere come figlio-demone, figlio tentatore, figlio Mefisto , che cerca di tentare il vecchio Ivan-Faust colla possibilità di dire quelle parole del Grande Inquisitore oggi, davanti la platea di TED Conference un luogo non virtuale dove in diciotto minuti oggi uno può tentare di dire qualcosa che vale la pena di essere raccontato. E tutte le scene che precedono questo racconto non sono che una esemplificazione a volte fulminea a volte più elaborata di quei temi libertà, fede, mistero, autorità, speranza, fame ecc.) che sono contenuti nel racconto che finalmente, dopo tanti anni, Ivan fa davanti al pubblico, come se il personaggio avesse finalmente scritto il suo romanzo. E il fatto più unico che raro che la mia immagine giovane (quella dello sceneggiato che si identifica con me) possa apparire come sogno di una gioventù perduta, di un desiderio represso, di un patto che sa tanto di “reality” rendono le cose leggermente più intriganti, spero. Le parole del Grande Inquisitore oggi a chi farebbero paura? La chiesa, o l’autorità, o il potere tout-court, agiscono ancora come il vecchio inquisitore sosteneva essere l’unico modo che permettesse agli uomini di essere liberi attraverso la negazione della libertà? Viviamo nella stessa illusione?
Non voglio raccontare di più. Vorrei che il pubblico facesse lo sforzo di raccordare da solo i frammenti gettati qua e là costruendo il suo percorso mentale, ascoltando, guardando, semplicemente, come avviene a teatro.”

Giuliano Angeletti

“La leggenda del Santo Inquisitore”
Di Umberto Orsini
dà I fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij
con Leonardo Capuano
scene Federico Babina, Pietro Babina
costumi Gianluca Sbicca
musiche Alberto Fiori
soundesign Alessandro Saviozzi
video effetti Miguel D’Errico
regia Pietro Babina
produzione Compagnia Orsini

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