Luigi Nocentini. Dal Napoli di Sarri all’Ucraina di Sheva

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Luigi Nocentini lavora nel mondo del calcio come Match Analysis e collaboratore tecnico, ricoprendo questi ruoli al Napoli, al Dnipro, dove è stato anche viceallenatore, e alla Nazionale Ucraina, guidata da Andrij Ševčenko. Luigi ci racconta del suo esordio al Napoli, parlandoci del suo percorso, che l’ha condotto ultimamente a disputare gli Europei 2020.

Ciao Luigi, vorrei ripercorrere con te il tuo tragitto. Il tuo sogno inizia a Napoli. Cosa ha significato per te quella esperienza? Il primo giorno che sei entrato nel campo di allenamento, di fronte a tutti quei campioni, cosa hai sentito? Ci credevi?

Il giorno che sono entrato nello spogliatoio del Napoli è stato certamente significativo, quando ho provato sensazioni che rimarranno per tutta la vita. Venivo dal mondo del calcio a livello dilettantistico e il primo impatto coi giocatori di Serie A è stato difficile, ma con il passare del tempo ho preso fiducia in me stesso e attraverso il lavoro ho aumentato le mie competenze. Anche se si tratta di campioni, parliamo comunque di esseri umani, che se vedono una persona competente non cambia niente se questa viene dal dilettantismo o da livelli altissimi. È stato un momento magico, difficile da spiegare a parole.

Ci sono stati momenti bui, sei stato fermo per circa un anno, quando è nato anche un libro: “Rimessa laterale e calcio d’inizio. Studio statistico e analisi tattica con proposte pratiche”. Che cosa volevi comunicare?

Più che momenti bui, come tutti i tipi di lavoro, ci sono alti e bassi. Sono stato fermo un anno e mezzo, ma fermo per modo di dire, perché ho cercato di migliorare le mie competenze, di studiare, girare vedendo altri allenatori, altre filosofie di calcio. E poi è nato questo libro, che racconta il calcio dal punto di vista tecnico e tattico, relativo ad alcuni aspetti della partita sulle palle inattive, nato su commissione di un’azienda. È stata una bella esperienza, anche se preferisco rimanere nel mio ambito professionale, sul campo.

Poi il sogno inizia di nuovo, stavolta in Ucraina, prima al Dnipro 1, poi alla Nazionale. Di cosa ti occupi nello specifico? Com’è lavorare con Sheva?

Avevo avuto una proposta di andare a lavorate in Spagna, ma non è andata in porto, poi, a novembre, è arrivata quella per il Dnipro, dove ho ricoperto il ruolo di viceallenatore, squadra conosciuta nel nostro Paese per dei trascorsi contro nostre squadre. È stata un’esperienza formativa, perché lavorare all’estero ti fa crescere dal punto di vista professionale e umano, vivendo in contesto diverso dalla tua cultura, quindi, nonostante le problematiche legate al Covid, è stato bello stare al Dnipro. Poi sono entrato nello staff della Nazionale, dove faccio il collaboratore tecnico, che è un assistente dell’allenatore dopo viceallenatore. Sheva è una grande persona e un grande campione e ha tutte le carte per diventare un allenatore di primo livello. Ho un bellissimo rapporto con lui e sono molto contento di fare parte del suo staff.

L’Europeo, almeno dal mio punto di vista, non è stato brillante per l’Ucraina, ma nonostante questo siete arrivati a disputare degli storici quarti di finale. Soddisfatti o vi aspettavate di più, in termini di gioco, dalla Nazionale?

Dal punto di vista dei risultati è andato molto bene per l’Ucraina, che non aveva mai passato i gironi, mentre noi siamo arrivati ai quarti. Per quanto riguardo le prestazioni, sicuramente potevamo fare meglio, ma nel calcio c’è sempre l’ambizione e la prospettiva di poter fare di più. Quello ucraino è un movimento che sta crescendo, ma il livello dei giocatori rimane più basso rispetto a stati come Danimarca, Svezia, Austria, con diversi calciatori che giocano nei top cinque campionati di Europa. Shakhtar e Dinamo sono al momento le uniche squadre competitive, poi speriamo che altre squadre possano raggiungere un grado più elevato. Nel complessivo siamo soddisfatti, ma c’è ancora tanto da lavorare.

Come hai festeggiato la vittoria dell’Italia?

È stato un traguardo importante e poter festeggiare sia il mondiale che l’europeo non capita a tutte le generazioni. È stata un’opportunità per riportare aggregazione e felicità e sono doppiamente contento, perché l’Italia è stata una delle poche nazionali con una identità e filosofia di gioco. Non si è mai snaturata, mantenendo le sue credenze calcistiche a prescindere dall’avversario. Faccio per questo un plauso a mister Mancini e a tutto lo staff tecnico, perché oggi spesso si guarda troppo al risultato finale e si tende a cambiare in base all’avversario, piuttosto che credere nella propria filosofia.

Come ti vedi tra dieci anni, Luigi? Ti vedi in questo ruolo per sempre o prima o poi ti piacerebbe allenare?

In questo ambito è difficile capire dove si sarà tra dieci anni. L’ambizione è quella di crescere e continuare a studiare, nonché apprendere dai migliori allenatori in circolazione. Si spera di raggiungere il livello più alto e questa è la benzina che ti permette di non arrenderti mai. Sì, mi piacerebbe allenare, non so dove e non so quando, ma il desiderio c’è, anche se è importantissimo fare tutti i passaggi: apprendere bene il lato tecnico e tattico e la gestione dei giocatori. Bisogna arrivare preparati, pronti per una sfida così importante.

In ultimo, hai qualcosa che vorresti aggiungere?

Vorrei ringraziare te e gli addetti ai lavori che s’interessano al lavoro delle grandi o piccole esperienze che ciascuno di noi fa in Italia o all’estero.

Stefano Duranti Poccetti

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