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Fiammeggiante AROLDO al Municipale di Piacenza

Data:

Teatro Municipale di Piacenza, il 23 gennaio2022

La bellezza di andare a teatro nella provincia italiana è nelle sorprese che questi luoghi, un po’ consunti ma palpitanti, ti regalano. È, infatti, in queste sale, dove tutto è familiare e il pubblico è genuino, che accade di godere, con coinvolgimento emotivo, del gioco del Teatro. E ieri al Municipale di Piacenza, in una recita di Aroldo dove nulla era compassatamente perfetto ma tutto era onesto e palpitante, la fiamma guizzante e gagliarda del giovane Verdi ha travolto il pubblico presente.

Il merito di questo coinvolgimento è da distribuire parimenti, con equità di giustizia, sia ai cantanti sia alla direzione orchestrale, nonché agli artefici della messa in scena. A tutti loro, ancor prima dei singoli e precipui apporti, va riconosciuto il merito di aver fatto Teatro.

L’idea registica e drammaturgica di Emilio Sala e di Edoardo Sanchi colloca, senza lambiccamenti, il melodramma all’interno dell’Italietta fascista. La retorica ottocentesca, di cui Piave è interprete e sulla quale Sala e Sanchi costruiscono lo spettacolo, è resa plasticamente visibile dall’uso di sostantivi e frasi in neon che, come i cartelli del teatro brechtiano, appaiono in scena per favorire la lettura dell’azione.

Sapiente, inoltre, è l’uso delle masse e la ricerca, tramite la stilizzazione dei movimenti, di un gusto un po’ manierato ed espressivo tipico del teatro di inizio Novecento. Merito, per quest’ultimi, da attribuirsi alla coreografa Isa Traversi.

Uniche note di debolezza, che invero tradiscono la paura del vuoto scenico e dell’incomprensione interpretativa che assale i registi, sono, da una parte, l’impiego non sempre pertinente delle proiezioni. Per queste, seppur già limitate a rari momenti, vale sempre il detto inglese lessi is more – meno è più -; e la sostituzione di alcune parole del libretto con altre, come Abissinia nel caso di Siria e Camerati nel caso di Compagni, per favorire l’unità tra rappresentazione e testo.

La direzione dei complessi dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini era affidata a Manlio Benzi che, con stacchi sicuri e risoluti, ha offerto una lettura sanguigna e schietta della partitura di Verdi, senza, tuttavia, che questa andasse a discapito del canto.

Luciano Ganci, nel ruolo eponimo, è un tenore che gode di un ottimo materiale vocale, ben proiettato e dallo squillo potente e saldo. Il gusto del suo canto, che evoca la scuola dei lirici spinti italiani degli anni Cinquanta del ‘900, è quello di ottimo fraseggiatore ma che, tuttavia, deve trovare maggiori finezze nelle smorzature e mezzevoci.

La Mina di Roberta Mantegna è messa ad aspra prova, sin dall’inizio, dalla difficoltà a cui Verdi sottopone la tessitura del personaggio. Ma il soprano palermitano, seppur non goda di un particolare piglio drammatico, appare solida nell’ottava centrale e in quella superiore e questo, abbinato ad una generosità che non la porta a risparmiarsi, la rende convincente e adatta al ruolo.

Vladimir Stoyanov, nel ruolo di Egberto, ha una voce brunita ed omogenea nel registro centrale mentre tende a sbiancarsi in quello acuto. L’esperienza e la presenza gli garantiscono la buona riuscita, seppur non sempre questa risulti constante, soprattutto durante nel terzo atto.

Il Briano di Adriano Gramigni, primo tra i comprimari, merita di essere menzionato per la piacevolezza del timbro e per la voce ottimamente impostata. Di cortesia la menzione del Godvino di Riccardo Rados e l’Enrico di Giovanni Dragano.

Alla fine della recita il teatro, seppur non pieno, ha tributato generosi ed emozionati applausi a tutti. Recita del 23 gennaio.

Luca Loglio

Foto Zani Casadio

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