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Le Troiane, al Teatro Franco Parenti

Data:

Al Teatro Franco Parenti di Milano, 8 febbraio 2022

Rappresentata per la prima volta nel 415 a.C., all’indomani del massacro compiuto dagli Ateniesi nella città di Milo durante la Guerra del Peloponneso, Le Troiane porta in scena la guerra vista con l’occhio degli sconfitti. Dopo la presa di Troia, Atena e Poseidone decidono di distruggere l’armata greca: l’uno è benevolo ai Troiani perché fondatore della loro città, l’altra odia i Greci perché Aiace ha violentato Cassandra nel tempio a lei consacrato. Intanto i Greci si spartiscono, tirandole a sorte le donne troiane, prede di guerra. Destinata ad Agamennone, è Cassandra, lucidamente presaga della sorte di entrambi. A Neottolemo, figlio di Achille, è destinata Andromaca, straziata dal ricordo di Ettore morto; a lei i Greci sottraggono anche il tenero figlio Astianatte per ucciderlo gettandolo dalle mura. La vecchia regina Ecuba è data a Ulisse. Polissena, sua figlia, sarà immolata sulla tomba di Achille, la cui ombra l’ha richiesta come condizione per concedere ai suoi connazionali, in procinto di salpare alla volta della patria dopo dieci lunghi anni di guerra, di godere di venti favorevoli durante la navigazione, Sulla scena appare poi la causa di tante sciagure, la splendida Elena, che il marito Menelao vuol ricondurre in patria per ucciderla, vendicando così le molte vite dei Greci stroncate per colpa sua. Ecuba la maledice ed essa si difende con un abile discorso, certa di essere risparmiata da Menelao, vinto dalla sua fatale bellezza. Infine, dopo aver ricomposto il corpo devastato del nipotino, Ecuba con le altre prigioniere si avvia verso le navi greche mentre la città crolla tra le fiamme. Ancora una volta Euripide – complice la regia di Andrea Chiodi – focalizza lo sguardo sull’universo femminile, inteso come specchio dei conflitti di una società nella quale i vinti e i deboli, i “barbari” e i diversi, sono inesorabilmente condannati all’emarginazione e alla più brutale sottomissione. Euripide, figlio tra i più lodati dell’Ellade per aver recato, molto diletto con la sua poesia, è il poeta che di quest’arte fu profondo innovatore. Le sue opere, caratterizzate da un doloroso pessimismo di natura religiosa, pongono al centro figure umane dalla psicologia complessa, con particolare risalto alle grandi donne della cultura greca. Le donne di Euripide – Medea, Ecuba, Alcesti, Polissena – sono personaggi forti, ma profondamente umani. La loro forza, che le rende prepotentemente contemporanee, non nasce da atti di eroismo ma dalle loro stesse fragilità, da uno spirito di abnegazione, di rinuncia e di rassegnazione. Inoltre, coerentemente con la tradizione arcaica mediterranea che assegnava all’elemento femminile un ruolo centrale nel dare sia inizio alla vita sia di sancirne la fine, sono le principali elaboratrici dei lutti e dei riti funebri. È il caso del pathos espresso dalle donne troiane, che compiangono i loro mariti e i loro padri: proprio questo lamento doloroso di Ecuba, e delle figlie, è lo strumento di scansione drammaturgica de Le Troiane. L’operazione di traduzione e di adattamento, per opera di Angela Demattè, è radicalmente asciutta ed essenziale, mirata all’affioramento del dolore: mai ostentato ma interiorizzato, vissuto. La Demattè, con grande attenzione al testo euripideo, esalta il monologo, o rhèsis, quale struttura narrativa intima. Pochi sono i dialoghi, uno su tutti – quasi un duetto per la sua struttura a canto – è quello tra le due matres dolorosae della tragedia: Ecuba e Andromaca. E, anche qui, a emergere prepotentemente sono le loro solitudini. Non ultimo, per qualità di riscrittura e attenzione filologia alla cultura drammaturgica classica, il processo a Elena. Rimane inalterato l’impianto apologetico di natura sofista voluto dall’autore, dove le due contendenti – Ecuba e l’amante di Paride – eliminano gli elementi di accusa dell’avversaria in rapporto al disastro di Troia. La regia di Andrea Chiodi, ben comprende il portato emotivo, crudo e doloroso, tra vincitori e vinti; complici le scene essenziali e brutaliste di Matteo Patruocco, punta su gesti minimi, evocativi, sobri anche nei momenti d’ira, come la maledizione di Andromaca, o il delirio di Cassandra. Elisabetta Pozzi, nei panni della regina Ecuba, s’impone sulla compagnia per pregnanza della parola e sfaccettatura della dizione, per misura dei gesti, essenziali ma carichi di espressione, e per la capacità di catalizzare su se stessa le emozioni più forti e primitive. A emozionarsi, durante la recita, è lei stessa. Federica Fracassi è una Cassandra che vive con pathos il delirio e la fantasia. Credibile la mimesis del rituale della fiaccola, tanto quanto il disprezzo per l’araldo Taltibio. Francesca Porrini è la giovane madre di Astianatte, sposa di Ettore. La sua Andromaca non conquista per patetismo: la scena in cui si rivolge al figlioletto condannato a morte non riesce pienamente coinvolgente. Il resto della sua interpretazione evidenzia, viceversa con consapevolezza il passo drammatico del personaggio. Alessia Spinelli è Elena, la moglie fedifraga di Menelao, caricando il personaggio di un erotismo sfacciato: lecca rumorosamente un lecca-lecca, s’imbelletta con eccesso di gusto e mostra i seni. La sua Elena è una lussuriosa adultera, sottilmente ammiccante nella capacità di suscitare consensi. Graziano Piazza è un efficace Taltibio, l’araldo Acheo che annuncia a Ecuba, Cassandra e Andromaca i loro destini di schiave. Il Coro, fondamentale ruolo nel teatro classico, è affidato a un gruppo di donne, giovani e anziane, la cui presenza è resa visibile da una proiezione a parete. I loro interventi, ridotti a due soli momenti, se favoriscono da un lato il flusso narrativo, non aggiungono nulla alla potenza drammaturgica della riscrittura. Al termine della recita, seguita con percepibile attenzione dagli spettatori, forti scrosci d’applausi sciolgono la tensione in festosa accoglienza tributata all’intera compagnia. Al Teatro Parenti di Milano, recita dell’8 febbraio.

gF. Previtali Rosti

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