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IL BAROCCO RELIGIOSO IMPONENTE ED  AGRESTE DI G.RENI AL CHIOSTRO DEL BRAMANTE. LE SACRE FIGURE MARTIRIZZATE E LE FESTE CAMPESTRI DANNO GLORIA AL PITTORE FELSINEO

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Piazza Navona, o per meglio dire lo Stadio di Domiziano , si può considerare il centro sfolgorante dell’Arte della prima metà del Seicento con le suggestive realizzazioni artistiche della Fontana dei Fiumi  del Bernini e della Chiesa di Sant’Agnese in Agone del Borromini , di cui abbiamo anche la Lanterna di Sant’Ivo alla Sapienza, vecchia Università Romana, dietro nel parallelo Corso Rinascimento sede pure del Senato. Ora , però, fino al 22 Maggio, i Romani, i turisti e gli amanti dell’Arte, avranno anche la possibilità di scoprire nella Piazzetta della Pace non solo un’altra bella chiesa, bensì pure il Chiostro dell’eccelso Bramante con la mostra d’un artista altrettanto rilevante di quel periodo. Intendiamo parlare del pittore bolognese Guido Reni che, nato dal maestro di cappella di San Petronio di nome Daniele e Ginevra Pozzi, si formò nella scuola di pittura dei fratelli Carracci, l’Accademia degli Incamminati ,dove si specializzò nella pittura ad olio ed in quella a bulino, entrando altresì in amicizia con sodali come Francesco Albani e lo Zampieri, soprannominato Domenichino. Il Cardinale Emilio Sfrondato, apprezzandone le sue insigni doti e richiedendogli pertanto una copia dell’ Estasi di Santa Cecilia raffigurata da Raffaello e che ora si trova in San Luigi dei Francesi, gli spianò la strada per arrivare nel cuore dello Stato Pontificio ed a Roma ebbe altri stimati committenti come Pietro Aldobrandini, la cui villa è una delle preziosità di Frascati, Ottavio Costa ed il Cardinal Gallo, che lo fecero lavorare molto e guadagnare abbastanza. Dopo essere tornato nella sua città nel 1602 per i funerali del maestro Agostino Carracci, rientrò nella capitale Pontificia e si diede a studiare l’antichità ed il Rinascimento, la Natura che abbelliva Roma ed i suoi dintorni, facendone il fulcro della sua produzione artistica con scene campestri e di paesaggio che altri avevano già iniziato a dipingere come Paul Brill, Francesco Albani, Giovanni Battista Viola e Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci. Questa linea espressiva l’alternò con i soggetti religiosi di matrice biblica che riprendeva dalla Scrittura e dal sommo Caravaggio, di cui accentuava l’oscurità dei colori sulle tele per trasmettere la violenta passione emotiva dei testimoni religiosi, martiri del paganesimo come San Pietro, Santa Cecilia, Santa Caterina d’Alessandria,  il tormento di Sant’Apollonia e la Strage degli Innocenti da parte del re Erode.  Vi sono tuttavia tra le circa 30 opere esposte pure Lot con le sue figlie, San Paolo che rimprovera Pietro penitente, la Trinità con la Madonna di Loreto, mentre scene di valore epico e basate sulla storia del popolo ebraico sono David con la testa di Golia, il ritorno dalla fuga in Egitto, Cristo che cammina sulle acque e l’incontro con la Samaritana al pozzo di Sichem. Naturalmente non mancano soggetti desunti dal mondo arcaico e mitologico , quali il più lucido e splendente per composta serenità di colore quadro di Atalanta ed Ippomene nella Sala di Apollo e Dafne, mentre al secondo piano dedicato alla pittura della Galleria Borghese, altro notevole committente fu infatti il cardinale Scipione, rinveniamo soprattutto la Natura e perciò il titolo dell’allestimento è “Guido Reni a Roma. La Natura ed il Sacro”. Nella Loggia del Lanfranco vi sono quindi le gioconde e floride ritrattistiche di campagna a partire  da Agostino Carracci ai paesaggi di Brill con tempio classico e cacciatore, pastori, il paesaggio di Domenico Zampieri ovvero il Domenichino con Silvia e Satiro, sempre di Brill il paese di Tivoli con il tempio della Sibilla, sovrastante la cascata Gregoriana che scopriamo pure in Francesco Grimaldi, per non citare gli oli su rame di Carlo Saraceni con le figure di Salmace ed Ermafrodito ed Arianna abbandonata. Per i quadri a penna ed inchiostro grigio e nero o bruno Reni si rifece ad Annibale Carracci , che aveva dato testimonianza di questa diversa possibilità pittorica con l’opera rispecchiante un’ambientazione di paesaggio con  individuo disteso presso un fiume e la festa campestre, mentre del petroniano è esibita l’ Alba che separa il Giorno dalla Notte. A Roma Paolo V l’incaricò pure d’affrescare la Sala delle Nozze Aldobrandini e delle Dame nei Palazzi Vaticani, il cardinal Bogherini gli diede da affrescare San Gregorio al Celio con il Martirio di Sant’Andrea e l’Eterno in Gloria, mentre sempre per commissione del papa Borghese insieme con i suoi colleghi del tempo decorò la cappella dell’Annunciata al Quirinale e per il cardinale Scipione realizzò la splendida Aurora nel Casino vicino al Quirinale, che oggi è a palazzo Pallavicini  Rospigliosi, terminata nel 1614 e poi ritornò a Bologna. Fu a Roma un’ultima volta nel 1625 quando dipinse la pala della Trinità per la chiesa dei Pellegrini, il ritratto del cardinale Bernardino Spada che troneggia nell’omonimo palazzo sede del Consiglio di Stato, presieduto dall’ex ministro Franco Frattini, nonché il San Michele Arcangelo che uccide il demonio dono al cardinal Antonio Barberini fratello di Urbano VIII. La vera “chicca” è, però, la “Danza Campestre” del 1605 per il cardinal Scipione Borghese soggetto che, andato prima disperso e successivamente ricomparso sul mercato londinese nel 2008, è stato riacquistato dalla Galleria nel 2020, dopo averne accertato l’attribuzione. Non si sarebbe più mosso dalla terra romagnola e la morte impietosa lo colpì per febbri malariche nel 1642 a 67 anni, venendo sepolto nella cappella del Rosario della basilica di San Domenico a Bologna. Del lavoro degli ultimi anni quiriti c’è data prova anche dalle tele su olio che per mano di Francesco Albani completano la sensualità agreste di quel gruppo di pittori con le  quattro tele su olio dedicate con le prime tre stagioni annuali a Venere, con la sua acconciatura, giacente nella fucina di Vulcano e corteggiata da Adone, la quarta al Trionfo di Diana. Insomma un’ottima esposizione che dimostra come il Barocco chiaroscurale ed urbanistico fosse cominciato bene, ricordiamo anche il colonnato di San Pietro del Bernini insieme agli Angeli con i simboli della passione di Cristo a Castel Sant’Angelo, per scadere poi in negativo  per l’enfasi magniloquente dell’illustrazione e per l’eccessiva artificiosità dei suoi progetti decorativi nel preziosismo di maniera o gongorismo rococò ed eufuista. Vale dunque la pena di visionare questa prima parte sublime di quella vena artistica, con il mantenimento dei vecchi prezzi senza tuttavia la gratuità della prima domenica del mese essendo un’istituzione privata che vi riceve all’ingresso con lo Stendardo della Confraternita delle Stimmate di San Francesco , il martirio di Santa Cecilia e la Crocifissione di San Pietro a testa in giù sul colle del Gianicolo a San Pietro in Montorio.

Giancarlo Lungarini   

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