“JEWELS”, IN SCALA I GIOIELLI DI BALANCHINE

Data:

Teatro alla Scala di Milano, fino al 24 Marzo 2022

Torna alla Scala, dopo otto anni, Jewels, capolavoro di George Balanchine. Presentato per la prima volta a New York nel 1967, è uno spettacolo a serata intera, in tre parti, senza alcuna narrazione, come è tipico del coreografo, con le pietre preziose come filo conduttore.
Georgij Melitonovič Balančivadze, nato a San Pietroburgo nel 1904 da genitori georgiani, diventa George Balanchine quando a Londra si unisce ai Ballets Russes di Segheij Diaghilev nel 1924. Nel 1934 si trasferisce negli Stati Uniti, dove creerà la maggior parte dei suoi lavori, contribuendo alla creazione del New York City Ballet, compagnia custode tutt’oggi del suo vasto repertorio.
Per quest’opera, lo stesso Balanchine racconta che l’idea della creazione di un nuovo balletto con costumi cosparsi di gioielli gli venne dopo aver conosciuto il gioielliere Claude Arpels, di cui ammirò i preziosi proprio nella gioielleria Van Cleef & Arpels a New York. Voleva dar vita ad una creazione ampia e opulenta, che fosse apprezzata dal grande pubblico ed adatta al suo New York City Ballet. Le donne amano i gioielli ed il coreografo realizza un balletto rendendo loro omaggio. Jewels è un trittico, in ciascuna parte del quale brilla lo splendore di una pietra preziosa diversa. Perfezione tecnica, fisica e di colori sulle note di Gabriel Fauré per Emeralds, Igor Stravinskij per Rubies e Piotr Ilyic Ciajkovskij per Diamonds; una tela di passi estremamente complessi, con momenti di gruppo, variazioni soliste, passi a due, passi a tre, con un viavai di danzatori complicato ed impegnativo per chi lo esegue.
Il trittico inizia con Emeralds, gli Smeraldi: eseguito da due coppie principali, tre solisti ed un corpo di ballo di dieci danzatrici, inizia con un delicato passo a due incorniciato da otto ballerine. Segue una variazione per una prima solista, poi un’altra per la seconda solista. Successivamente un passo a tre anticipa un altro passo a due. Il finale riporta in scena tutti i danzatori. La musica del compositore francese avrebbe dovuto, nelle intenzioni di Balanchine, evocare la Francia dell’eleganza, del comfort, dei bei vestiti e dei profumi. La Francia, culla del balletto romantico. Vittoria Valerio con Claudio Coviello e Caterina Bianchi con Gabriele Corrado danno vita alle due coppie principali; senza dubbio se c’è qualcuno da notare è Coviello, tecnicamente perfetto, leggero nei salti, preciso in tutto il tessuto coreografico. I tre solisti, Marta Gerani, Gaia Andreanò e Christian Fagetti, tengono la scena anche se la Gerani decisamente meglio degli altri: sua lei che Coviello danzano come se niente fosse, con una naturalezza ed una leggerezza che non è da tutti.
Segue Rubies, i Rubini: unico pezzo un po’ originale, con movimenti anche un po’ in stile modern, meno “tulle e tutù” degli altri due. Balanchine stesso volle precisare che non era affatto un omaggio all’America, con la sua energia, le sue ballerine da musical; l’ispirazione gli era venuta ancora una volta dal suo compositore preferito, Stravinskij. Pensato per una coppia principale, una solista ed il corpo di ballo, vede la coppia ed il solista alternarsi alla guida dell’ensemble. La solista è qui la prima ballerina Nicoletta Manni, sempre molto bella, a parte qualche incertezza su dei penchés; la coppia invece è formata da una frizzante Agnese Di Clemente ed un poco convincente Domenico Di Cristo, per niente amalgamati fra loro.
Infine, Diamonds, i Diamanti: l’ultima parte del trittico è danzata da una coppia solista, un gruppo di solisti e da un ampio corpo di ballo. Iniziano dodici ballerine ed una coppia di solisti; segue la coppia principale, l’ensemble con variazioni per i due protagonisti, ed infine l’intero gruppo composto di trentaquattro elementi. La coppia solista è molto eterogenea: Timofej Andrijashenko è il principe delle fiabe, perfetto tecnicamente, bello, bravo e leggerissimo, nonostante la sua elevata statura; Maria Celeste Losa è meno incisiva e soprattutto sempre con lo sguardo a terra, molto brutto da vedere. Il corpo di ballo è così numeroso che ci si perde fra entrate, uscite, fermi e parti danzate; i classici momenti dove non si sa chi guardare perché ognuno fa una cosa diversa.
Per tutti e tre i pezzi, sarebbe stato positivo accordarsi sullo stato d’animo da comunicare: chi sorride a pieno, chi invece è cupamente chiuso in se stesso, che felice e frizzante, chi triste e contrito, seppur all’interno della stessa coreografia. Delle due, una….

Chiara Pedretti

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