Abbiamo incontrato Claudia Fofi, scrittrice e autrice per Bertoni Editore di “Una volta, all’improvviso”, una “raccolta di pensieri, alcuni anche autobiografici” come dice lei stessa, impreziosita da una copertina curiosissima (“opera di mia sorella Marta”, che stuzzica l’attenzione anche dei più distratti).
Cosa ti ha spinto ad intraprendere anche la “carriera” di scrittrice?
Scrivo da sempre. Da bambina poesie e brevi racconti, poi ho incontrato la canzone e questa è stata una lunga esperienza che mi ha completamente assorbita per molti anni. L’avvento di Facebook è stato determinante per me. Lentamente, prendendo sempre più fiducia nei miei mezzi, ho sviluppato una scrittura “social” in una dimensione di stretta relazione con chi legge. Oserei definirla una relazione affettiva. Questa relazione credo sia la cifra fondamentale del mio stile. Non ho pensato a quella della scrittura come a una vera e propria “carriera”, perché non penso a questo quando faccio il mio lavoro artistico, sia di musicista che di poetessa o scrittrice. Se ho delle cose da dire, trovo il modo per farlo. La carriera di scrittrice al momento è un bel sogno che non voglio neanche sognare.
È successo che ho pubblicato una raccolta di poesie nel 2016, poi ho deciso di raccogliere i miei post in un libro, che Bertoni ha pubblicato nel 2019 (si intitolava “Post-Post”). E poi ho chiuso questo ciclo di scritture social quest’anno, con una seconda pubblicazione, sempre per Bertoni, con “Una volta, all’improvviso”.
Hai abitudini particolari durante la scrittura?
Dipende. Le poesie sono una pratica quasi quotidiana. La prosa viene a trovarmi in maniera diversa. Per quanto riguarda i post che ho raccolto, li scrivo in qualsiasi situazione, perché spesso nascono dall’osservazione. Mi piace molto scrivere durante i viaggi. Mi stimola il cambio di paesaggio, soprattutto quello umano. Vivendo in una piccola città (Gubbio), incontro sempre le stesse persone e le persone per chi scrive sono anche dei personaggi. Ho bisogno di uscire per trovarne di nuovi. Ultimamente ho scritto un romanzo, ancora inedito. Per questo tipo di scrittura più estesa ho avuto bisogno di prendermi dei momenti di ritiro assoluto. Scrivo di giorno, specialmente la mattina, non sono una persona notturna.
Che messaggio hai voluto lanciare con “Una volta, all’improvviso”?
È un libro in cui si sorride molto. Non so se sia un messaggio, la leggerezza. Per me è una possibilità di rendere tenero ciò che è ostico e difficile da affrontare. I temi di cui parlo non sono leggeri per niente, infatti. Nelle sue “Lezioni Americane”, Calvino indica nella leggerezza una grande possibilità letteraria, capace di “sottrarre peso”, non solo ai personaggi, ma soprattutto alla struttura e alla lingua che si usa. In questa epoca ipertecnologica, la scrittura ha un enorme compito comunicativo. Dobbiamo interagire in un mondo che in un certo senso sta vivendo un drammatico declino. La sfida è “elevarci rispetto alla pesantezza della realtà”.
Quando scrivi hai già tutta la ‘storia’ in mente o la elabori strada facendo?
In questa raccolta di post evidentemente non c’è una storia, anche se possiamo parlare di una linea narrativa. È un libro nel quale sono chiari i tratti autobiografici. Una specie di memoir, un diario in presa diretta.
Qual è il libro più bello che hai letto fino ad oggi?
Non saprei rispondere a questa domanda. Io cambio continuamente. A vent’anni probabilmente ti avrei risposto “La metamorfosi” e “Cent’anni di solitudine”; a venticinque “Delitto e castigo”, a trentacinque “La storia” di Elsa Morante. Leggo tanto e di tutto e in modo disordinato. Il romanzo che sto leggendo adesso è di Emmanuel Carrère e si intitola “Vite che non sono la mia”. È bello ma non mi sta appassionando. Rileggo sempre Carver. I suoi racconti sono un pilastro, per me.
Come hai scoperto la tua passione per la scrittura? E come l’hai coltivata?
Ricordo molto bene la gioia che provai, da bambina piccolissima, quando iniziai a riconoscere le lettere e di conseguenza le parole. Sono stata una lettrice precoce e credo di avere coltivato in questo modo la passione per la scrittura, leggendo e osservando. Sono pigra, non costante, ma ho una capacità di capire le persone abbastanza forte. Ho scritto per curarmi da un’infanzia difficile, come tanti altri. Coltivo la scrittura anche quando non scrivo, quando non mi accorgo e penso ad altro. Chi scrive, scrive sempre.
Tu sei un artista a 360 gradi… Come è cambiata la tua vita scrivendo?
Il vero cambiamento è avvenuto dopo l’incontro con la Paesologia di Franco Arminio, nel 2013. Partecipai a una delle primissime edizioni del festival “La luna e i Calanchi”, dove venni invitata a leggere alcuni miei versi. Franco mi incoraggiò a pubblicare un libro, poi incontrai Silvana Kűhtz, che allora curava una collana di poesia per un editore pugliese. Grazie a lei ho pubblicato il mio primo libro. La mia vita non è cambiata molto nella forma, ma nella sostanza sì, perché ho deciso di dedicare del tempo vero alla scrittura, mi sono data un grande permesso. Continuo a fare il mio lavoro di formatrice vocale e di organizzatrice culturale, ma ora so che c’è uno spazio dedicato alla scrittura che è sacro e che mi permette di fare incontri molto belli con persone straordinarie.
Dove hai trovato l’ispirazione per ideare queste 142 pagine?
Il libro si compone di post scritti su Facebook. Alcuni li ho per davvero inseriti nella mia bacheca, altri invece li ho scritti e poi non li ho pubblicati. Nascono in diretta, spesso con il riscontro immediato della cerchia di persone portate dall’algoritmo. In particolare, questi post sono stati raccolti scegliendo un periodo preciso, da febbraio 2020 a febbraio 2022. Quindi raccontano cosa mi è passato per la testa dallo scoppio della pandemia all’invasione dell’Ucraina. Ci sono alcuni personaggi che appaiono in diversi momenti: mia figlia, la zia Lalla. L’ispirazione, quindi, è la vita nel suo scorrere, di cui la bacheca di Facebook è metafora. Un movimento che da “normale” si è improvvisamente fratturato, nei primi giorni del lockdown e poi sempre di più. La frattura che si è creata è una ferita ancora non rimarginata, ma non di questo parlano i post. I temi che toccano sono tanti e non tutti, anzi solo una piccola parte, riguardano la pandemia, sfiorandola appena. Però ho scritto in quel periodo e per me quel periodo è stato straordinariamente interessante. C’era paura,
rabbia, per molti c’è stata la perdita di persone care. Io sono stata fortunata, perché ho avuto modo di fermarmi e osservare dalla finestra la sospensione del tempo, lo spostarci obbligato da una linearità a un’irregolarità scandita da comportamenti completamente nuovi. Avendo una vera ammirazione per le storie vere di chi cambia vita e stravolge il corso del proprio destino, ho amato la fuga dalla normalità che il lockdown ci offriva. Lo so, era una fuga coatta e mi rendo conto benissimo dei disastri e delle conseguenze, ma era comunque un salto nell’inedito. Un salto assurdo, doloroso, sorprendente, un gigantesco “boh”. Tutto materiale fantastico, per una persona come me.
Altra grande ispirazione, che costituisce la seconda parte del libro, è la musica. Questa seconda parte si intitola #musicaperfarelecose. C’è l’hashtag perché questo è il titolo di una specie di rubrica che tengo su Facebook. Mi piace fare accostamenti stravaganti tra musiche e cose che si fanno nella quotidianità. Per esempio: cosa ascoltare mentre si passa lo straccio per terra? Cose così, saltando dall’alto al basso, includendo musiche che per me hanno un qualche significato o evocano ricordi, soprattutto amorosi.
Quale sogno è ancora nel tuo ‘famoso’ cassetto?
Vorrei prima o poi registrare un album di canzoni senza testo. Ho composto molta musica strumentale che vorrei non restasse nel cassetto. E mi piacerebbe andare in Giappone per vedere la danza di corteggiamento delle gru bianche della Manciuria. Questi sono i sogni fattibili. Poi c’è un elenco di sogni veri e propri che però ho nascosto in un punto del cassetto al quale non ho accesso nemmeno io.
In soli tre aggettivi come puoi descrivere il tuo progetto editoriale?
Originale, divertente, profondo.
Se potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
Regalerei la non violenza, che è la base di tutto. Un’umanità che non conoscesse la violenza sarebbe giusta, non esisterebbe sopraffazione, le enormi disuguaglianze che sono alla base di ogni sofferenza. Sapremmo affrontare ogni sfida della vita guidati dall’etica, ci sarebbe rispetto e serenità nei pensieri e nelle parole. Un’utopia, lo so, ma questo è il regalo che farei.
Ilaria Solazzo
Come acquistare il libro:
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