Il teatro italiano al tempo del Covid-19. Intervista al regista italiano Franco Però, già Direttore del teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Trieste (dal 2014 al 2020)

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Nermin: Quali sono i problemi che il teatro italiano affronta attualmente e sin dal periodo della pandemia?

Il regista Franco Però: Bene, con la fine del mese di febbraio 2022 sono stati due anni dacché sono iniziate le chiusure, più o meno lunghe, e le riaperture a numeri contingentati. Anche in Italia, quindi, i teatri hanno dovuto attrezzarsi per affrontare questo periodo disastroso. Abbiamo sofferto – e ne soffriamo ancora – tutti, sebbene non sempre allo stesso grado: i teatri e le compagnie più piccole e tutte compagnie private, di più ( essendo ancora un sistema teatrale che si basa notevolmente sulle tournée, con i teatri chiusi o aperti ma impossibilitati a riempire tutta la sala, tante produzioni si sono bloccate ), mentre i teatri pubblici di meno. A tutti quei soggetti che ricevono finanziamenti ministeriali ( è il Fondo Unico dello Spettacolo – FUS – che eroga  questi contributi ), il Ministero è venuto loro incontro, continuando a erogare i contributi annuali, in qualche modo svincolandoli da tutti quei parametri necessari ( in regime ordinario ) per ottenerli. Ma certamente questo non potrà durare. Per ora i teatri sono di nuovo aperti;  a ottobre la stagione è iniziata regolarmente, e continua ad andare avanti anche se in maniera un po’ irregolare ( spettacoli che si bloccano perché hanno attori o tecnici positivi al Covid, qualche teatro che è costretto a sospendere l’attività, sempre per gli stessi motivi, etc ), in più vi è un certo timore nel pubblico combattuto tra la voglia di tornare e la paura del contagio: ma per fortuna, mi sembra che in generale nel Paese vinca la voglia di tornare a vedere un evento “dal vivo” e vivere questo momento condividendolo con altri.

Certo, questa pandemia è capitata in un momento delicato per il teatro italiano, quando da pochi anni c’era stata una riforma con la quale il teatro si stava ancora confrontando. Nel 2014 era partita una nuova modalità di erogazione dei fondi pubblici ministeriali  ( e in certi casi seguiti anche dai fondi regionali, un’altra fonte di contribuzione pubblica ) e i teatri si stavano adeguando a questa riforma. Per dare un’idea di questa trasformazione, potremmo dire così:  dal 2015, tutte le strutture teatrali che godono di sovvenzioni FUS ( dai grandi Teatri Stabili alla più piccole compagnie ) devono ogni triennio presentare un progetto generale e poi, annualmente, un altro estremamente più dettagliato con tutta l’attività che verrà fatta in quell’anno. I parametri, su cui  si basano poi le valutazioni degli uffici ministeriali,  sono di carattere tanto qualitativo ( scelte artistiche ) quanto quantitativo ( numero recite, produzioni, ospitalità, etc). Questa nuova sistemazione di tutto il settore ha avuto senza dubbio molti effetti positivi sulla vita teatrale, ma noi operatori abbiamo anche notato, diciamo, le zone d’ombra ( non sempre poche ) tra le tante luci. Per cui, in collaborazione con il Ministero ( in Italia, il teatro afferisce al Ministero della Cultura – MiC ) abbiamo individuato alcune criticità, e queste analisi hanno portato nel 2017 a una riproposizione di alcuni punti di questa riforma. Quindi, appena iniziato un nuovo triennio (sarebbe stato il  terzo della riforma, il 2021/2023) con il Covid possiamo dire che si è bloccato un po’ il tutto, e solo quest’anno  – 2022 – si riparte con i nuovi progetti triennali, con la speranza di tornare alla normalità.

Nermin: Secondo Lei, al livello tecnico, come può interagire con la nuova tecnologia e intelligenza artificiale nel teatro?

Il regista Franco Però: Durante la chiusura totale dell’attività teatrale, per non essere del tutto assenti, quasi tutti i teatri hanno inventato modalità diverse per rapportarsi con i propri pubblici. La gran mole del lavoro è passata attraverso i sistemi on-line. Si trasmettevano spettacoli ripresi in video, nuove creazioni nascevano solo per essere viste online, lo streaming in qualche modo, per chi ha avuto la possibilità di farlo, almeno ha ridato qualche parvenza dei quel hic-et-nunc, essenza dell’evento teatrale, e così via. Ricordo i discorsi sul fatto che da questo periodo avremmo dovuto trarre la conclusione che il teatro non avrebbe più potuto essere totalmente estraneo all’uso di nuove tecnologie e  che quanto sperimentato avrebbe dovuto essere tenuto presente anche quando saremmo ritornati in palcoscenico. Bene, di tutto questo, adesso che si sta ritornando, come dicevo poco sopra, alla sperata normalità, non ne vedo molta traccia.

Ho la sensazione che questo essere stati costretti – artisti e pubblico – a rapportarsi per un lungo periodo solo attraverso gli strumenti “tecnologici”, ha portato ad un certa diffidenza, una volta rientrati nelle platee e sui palcoscenici, nei confronti di quei linguaggi che  si aprono alle nuove tecnologie.  In questo momento, mi viene da pensare che la “fisicità” sia sentita con una certa urgenza. Il teatro è fisicità, qui e ora. Un corpo che agisce. Come scriveva nei lontani anni ’50, Jean Louis Barrault: plastica fisica e plastica orale. Un corpo che agisce con il movimento e con la parola ( o talvolta  non sempre con quest’ultima) in uno spazio definito. Certo, gli esempi di utilizzo di nuove tecnologie ce ne sono tanti ed è giusto che sia così. Far dialogare linguaggi diversi è molto importante.  Nuove drammaturgie  inizieranno così a delinearsi….. anche se, talvolta mi incuriosisce sentire commenti entusiastici di fronte a “nuovissimi” spettacoli, con dialoghi tra attori sul palcoscenico e altri sullo schermo, e   interventi on line in contemporanea, e/o dialoghi con un pc/robot… correva l’anno 1969 e in un importante allestimento italiano de L’Istruttoria di Peter Weiss, l’uso delle telecamere che agivano in contemporanea – diventando così, esse stesse protagoniste – rimandando su un grande schermo ciò che riprendevano, permeava tutto lo spazio scenico….. comunque: tra i tanti progetti promossi o sostenuti in questi anni dal nostro Stabile, ve ne  uno, in cui abbiamo creduto fortemente – Festen, tratto dalla sceneggiatura dell’omonimo film del danese Thomas Vinterberg – che vede sul palcoscenico dialogare di continuo il linguaggio del cinema (la ripresa in camera) e quello teatrale tradizionale!

Forse, proprio la città sede del Teatro Stabile FVG, ovvero Trieste, potrebbe diventare un credibile luogo di sperimentazione, vista la notevole concentrazione dei centri di ricerca presenti nel territorio.

Nermin: Quali sono gli argomenti di solito proposti sui palcoscenici degli Stabili italiani, c’è un certo tema di cui si interessa il teatro, sempre? Gli argomenti sono ben diversi da quelli che si mettono in scena nei teatri privati?

Il regista Franco Però: Non è semplice la risposta. Se parliamo di produzioni, a grandi linee potremmo dire che si, c’è una diversità tra le proposte dei teatri Stabili e  quelle dei teatri privati : se con il termine privato si vuole intendere la produzione delle principali compagnie private, quelle che fanno importanti tournée, etc.. In questo caso, certamente l’appeal commerciale è molto più presente nelle produzioni di queste ultime, mentre l’attenzione alle proposte culturalmente più complesse è per lo più a capo dei Teatri Stabili.  Ma  ciò non vuol dire affatto che tematiche più attuali non trovino spazio nelle produzioni private.  Anzi, soprattutto dall’entrata in vigore della riforma di cui sopra, le compagnie private più importanti ancora più si affidano ai contemporanei e tralasciano i classici:  servono meno attori per un autore contemporaneo, di quanto non ne servano per uno Shakespeare, Molière, Goldoni o Cechov!

Ma non voglio ridurre solo a un dato commerciale le scelte delle compagnie private: molti autori contemporanei (e soprattutto molti stranieri )  sono stati messi in scena da compagnie private e anzi, specie per quanto riguarda la drammaturgia di lingua inglese o francese, molti primi allestimenti di autori contemporanei, in Italia, sono stati fatti dai produttori privati (ma ricordiamo sempre che, per quanto privati, anch’essi godono di contributi pubblici, sebbene in misura molto minore degli Stabili e solo provenienti – o comunque in maniera preponderante – dal Ministero).

E non vorrei esser confuso. Quando parlo di appeal commerciale, questo magari può essere dato dall’interprete “di nome” (sempre più televisivo!), lasciando così libero il campo per una proposta culturalmente importante.

Quindi non posso dire che ci sia sempre una netta differenza nelle scelte degli argomenti tra le produzioni private e quelle dei teatri pubblici. Direi che è più una questione di tipo di scelte di regia. Non va dimenticato inoltre, il fatto che spesso gli spettacoli sono il frutto di co-produzioni e queste sovente vedono assieme soggetti pubblici e privati.

Nermin: Al Suo parere, ci sono nuove tendenze di drammaturgia apparse nel teatro italiano nell’ultima fase?

Il regista Franco Però: Ho difficoltà a dare un quadro della ricerca drammaturgica in Italia in questi ultimi anni. Già sarebbe da definire cosa intendiamo per “ultima fase”: le ultime stagioni teatrali? Gli ultimi cinque anni? O dieci? In questi sei anni di direzione di un importante Teatro Stabile (il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia) ho cercato di portare nelle nostre stagioni spettacoli che affrontavano nuovi linguaggi – anche se lo so di non esser certamente riuscito a  portarvi tutte le nuove tendenze. Credo si possa dire che vi è una bella ricchezza di proposte in Italia. Anche se, sarebbe più corretto parlare di linguaggi scenici più che di drammaturgie nuove, come le scritture sceniche di una Emma Dante o di un Pippo Delbono o ancor prima di Ricci e Forte (attuali direttori della Biennale Teatro) e Scimone/Sframeli, e tra i giovani, le personalità che trovo più vicine sono quelle di un regista/autore come  Marco Lorenzi ed il suo gruppo (Il mulino di Amleto – sono gli ideatori di Festen, a cui ho accennato sopra) o una performer/autrice come Marta Cuscunà; tra   i drammaturghi sui quali vi è più attenzione in questi ultimi anni cito Lucia Calamaro e Letizia Russo – non è forse un caso che siano due donne, entrambe attive da molti anni – e trovo davvero affascinante il lavoro della  Carrozzeria Orfeo e del suo drammaturgo Gabriele De Luca ( “per un teatro pop” è una sorta di manifesto del gruppo),  come altrettanto quello degli Anagoor, una drammaturgia direi proprio all’opposto di quella della Carrozzeria: negli spettacoli degli Anagoor, dove l’allegoria è sempre presente, si intrecciano una figuratività fortemente impregnata di elementi contemporanei e materiali classici. Ma sono gusti e orientamenti personali che lasciano fuori tanti altre ed importanti voci della drammaturgia italiana.

Nermin: Adesso, il pubblico inclina ad andare a vedere in teatro le commedie o  le tragedie?

Il regista Franco Però: Se osservo l’andamento di questa stagione confesso che una linea chiara non la vedo. Certo, la commedia leggera o il monologo dell’attore con doti comiche spiccate, in questo momento fanno molta presa sul pubblico, ma non di meno i grandi testi classici : ai quali come molto spesso, nei momenti di crisi, il pubblico sente il bisogno di ritornare. Posso anche aggiungere che, tra gli spettacoli visti, ho notato che il pubblico si sente molto partecipe  a quelli nei quali immediatamente riconosce il tema di forte attualità (meglio se questo viene letto  con il linguaggio della commedia). Ma vi è anche, a monte, un altro dato dirimente al riguardo delle scelte del pubblico, in questa situazione di (sperata) fine pandemia, e cioè quello della durata: superare l’ora e tre quarti è controproducente… sebbene in questi giorni, uno spettacolo monstre, tratto da un romanzo da poco pubblicato ( “M”, sul personaggio di Mussolini) della durata di tre ore, abbia visto una grande partecipazione (certo, le scuole – che finalmente sono libere di portare gli studenti a teatro – hanno dato un bel contributo).

Nermin: Quale è il futuro per il teatro italiano secondo Lei?

Il regista Franco Però: Posso dire quello che io vorrei fosse la strada del futuro per il teatro italiano. E non parlo di linguaggi, indirizzi, ricerche: ognuno trova la sua strada. Ciò che mi sembra importante per il teatri in Italia, sono alcuni interventi che stanno alla base di ogni possibile sviluppo teatrale; e sono, essenzialmente, A) una ancor maggior diffusione sul territorio ed il riconoscere al teatro il suo ruolo pedagogico e sociale, B) il confronto con estetiche, attraverso gli spettacoli, di altri paesi (non relegando ciò ai festival o ad occasioni particolari, ma divenga prassi comune nelle stagioni teatrali). Poi, ognuno farà il teatro che vuole!

Nermin: Grazie mille per questo incontro caro regista e per il Suo tempo prezioso concesso a noi!

Il regista Franco Però: Grazie a Lei Nermin, buon lavoro!

Nermin Shawky

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