Un grande Haber rivisita l’inetto sveviano sdoppiandosi in “La coscienza di Zeno”

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Generalmente gli arrangiamenti e riadattamenti di testi classici non ci convincono in quanto il regista per imporne una propria visione o rielaborazione concettuale adatta ai tempi moderni ed al nostro vivere sociale finisce spesso per tradirne l’impostazione originale con la sua finalità didascalica e valori etico – civili. Stavolta invece c’è piaciuta l’ operazione di Monica Codena e Paolo Valerio, che non solo hanno rispettato l’ambiente e l’epoca in cui Ettore Schmitz scrisse il suo capolavoro nella sua nativa Tergeste, ma hanno fatto bene i conti con le condizioni fisiche del geniale e celebre attore a cui avevano deciso di affidare il ruolo di Zeno, il notissimo ed ammirato Alessandro Haber per la sua classe recitativa venata di sottile garbo e frizzante , ironico, umorismo. Come si sa egli qualche anno fa fu colpito da una dolorosa paresi che lo costrinse per qualche tempo su una sedia a rotelle, come ce lo ricordiamo in alcune scene subito dopo l’insorgere della patologia; oggi , grazie ad una preziosa fisioterapia, può stare in piedi, tuttavia ha bisogno di sorreggersi con la terza gamba del bastone. Per questo il regista Valerio non poteva esigere da lui l’interazione scenica con gli altri attori per tutto lo spettacolo, ma ha dovuto escogitare il sistema del doppio per lui con una resa oggettiva e soggettiva. Egli, stando seduto di lato su una comoda sedia, ripercorre le fasi salienti della sua esistenza, partendo dallo stratagemma che il suo psicanalista, avendone trovato il diario esistenziale,  usò per vendicarsi del fatto che egli non avesse saldato la parcella professionale. Haber dunque lascia i panni della sua gioventù al dinamico Alberto Onofrietti che, in cerca di buona sistemazione si fa assumere dalla ditta di vernici di Giovanni Malfenti, impersonato da Francesco Migliaccio, che lo prende in simpatia e l’invita a casa sua dove la signora resa impeccabilmente da Ester Galazzi  gli prepara una dolce e gustosa merenda con il tè del pomeriggio, presentandogli poi le sue 4 figlie che aspirano a maritarsi. Belle e salottiere, mondane, sono queste scene d’intimità familiare e vivace cicaleccio intrecciato, in cui egli studia le fanciulle e viene turbato fulmineamente dalla seduzione fisica di Ada la maggiore delle sorelle, nel cui ruolo possiamo valutare il biondo fascino di Chiara Pellegrin.  Ella, però, non lo ricambia d’identico sentimento ed egli non volendo restare solo, assorbita l’umiliante frustrazione del rifiuto, deve accontentarsi della secondogenita Augusta, interpretata con timido perbenismo ed accondiscendente piacere  di  convolare a nozze, poiché, non stimandosi attraente, temeva di restare nubile,  pudicamente da M. Airò Farulla,  che sarà per il debole, schivo ed incerto ,Zeno una tenera madre protettiva più che una moglie. Con il suo chiaro ed essenziale racconto frammentario, dopo i siparietti  del suo matrimonio in casa Malfenti con le suggestive scene delle carte argentate che frusciano nell’aria come neve e quindi dei ritagli rossi che svaniscono nel vento quale la passione per Ada che gli preferisce il più signorile e “latin lover “ Guido, nei cui panni s’è sfiziosamente calato Emanuele Fortunati, Haber ci fa esaminare il controverso e polemico rapporto con il padre che, indignato ed indispettito, essendo lui di forte personalità tedesca, per il vile , esitante ed ondivago comportamento del figlio, che non riesce a smettere di fumare pur ripromettendoselo sempre, lo schiaffeggia quale duro rimprovero prima di morire. Zeno per voce di Haber avvertirà progressivamente tutta la sua debolezza psichica, incostanza di volontà e mancanza di ferrea determinazione, sprofondando in sensi di colpa che saranno acuiti dall’accusa di Ada di  non aver salvato la sua azienda, dopoché Guido Spreier , per la morte del suocero diventato amministratore dell’azienda, l’aveva fatta fallire giocando d’azzardo tutto il patrimonio liquido e le sue azioni, i titoli. Infatti dopo esserglisi negata, desiderava pure per contrappasso dantesco che la proteggesse, con un compiacente e sarcastico sfruttamento servile, vigilando come pratico tutore sulla condotta di Guido. Alla fine questi aveva corrisposto al pentimento suicida del traditore Giuda nei Vangeli ed Ada non gli aveva risparmiato il processo morale con un velenoso eloquio e vendicativo rapporto relazionale, ritenendolo responsabile dell’accaduto. La conclusione con un perentorio monologo sferzante ed apotropaico alla vigilia della Grande Guerra è magnificamente pronunciata con un senso di speranza cosmologica da Haber che, nel suo totale naufragio o “ scacco matto” per dirla con Sartre, coinvolge nella disfatta decadente tutto il genere umano e pertanto sarebbe necessaria una completa palingenesi con gli uomini che dovrebbero volare in cielo prima che il mondo fosse infestato da serpenti, insetti, come le cimici e blatte che si stanno diffondendo anche sui treni, animali pericolosi. Queste divaganti digressioni, lapsus linguistici ed intuizioni fantastiche, ci spingono nel paranormale e surreale, mentre il “doppio” di Zeno può essere ermeneuticamente  letto come un dialogo tra l’Ego e l’Es, la realtà propria e della città giuliana con la sua borghesia e la propria coscienza. L’amareggiato e triste Ettore, soprannominato Italo Svevo, per la duplice identità nazionale dei suoi genitori, aveva preso parte alla vita dell’urbe di San Giusto con il teatro romano e la scala dei Giganti, ma conservando sempre un carattere scettico e relativista sul suo vissuto e le sorti del settore Est della sua Patria, che appunto nel 1918 avrebbe visto il successo dell’irredentismo combattuto contro gli Austriaci insieme a Trento con i martiri della fossa del castello del Buonconsiglio mentre lui decedeva in un incidente stradale a Motta di Livenza.Inoltre il pessimismo lo perseguitò sovente al punto che non voleva continuare a scrivere romanzi e furono l’irlandese James Joyce ed Eugenio Montale a persuaderlo del suo “dono” letterario originale creativo per continuare a comporre  testi e la fama raggiunta da Svevo dimostra che avevano ragione nell’indurlo a persistere nell’elaborazione delle sue idee e concetti per i volumi dati alle stampe. Lo spettacolo, che rientra nell’intento di meglio investigare e divulgare al massimo i sommi autori prosaici e lirici del primo Novecento che hanno collocato la loro Trieste nella gloria della Letteratura Europea, aggiungendo a quelli ricordati il poeta Umberto Saba che redasse un “Canzoniere” alla guisa di quello della seconda “corona” medievale F. Petrarca per la sua Laura, letto da qualcuno pure come un protoumanista, sarà programmato al Quirino fino al 29 ottobre, quando entrerà in vigore l’ora legale. Le scene ed i costumi tipici del primo quarto del XX secolo sono stati creati da Marta Crisolini Malatesta ed  il lavoroè prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per il centenario della pubblicazione del capolavoro di I. Svevo, che gli studenti apprendono nell’ultimo anno delle superiori ed è per questo contatto con una diretta osservazione del  romanzo  al limite  autobiografico che il teatro era pieno di giovani accompagnati dai loro docenti, come facevamo anche noi nella nostra indimenticabile e prolungata attività didattica esistenziale per una genuina e profonda passione messa talora a dura prova dalle provocazioni ed offese degli allievi e loro genitori, contro cui il ministro Valditara ha deliberato l’assistenza legale patrocinata dallo Stato. Era ora e non è mai troppo tardi!

Giancarlo Lungarini

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