Verona, Arena, fino al 26 agosto 2017
Il 95° Opera Festival si apre con un nuovo allestimento di Nabucco, assieme a Aida il titolo più amato dal pubblico dell’Arena. Si punta in grande, con scelte volte a emozionare e celebrare il passato dell’Italia preunitaria. Sul filo della scorretta lettura storiografica retroattiva che ammanta l’intera attività del compositore d’intenti rivoluzionari, costringendovi anche lavori che non li possiedono, Arnaud Bernard traspone la vicenda nel marzo 1848 durante le Cinque giornate di Milano. Chi si aspetta fedeltà filologica sappia subito che rimarrà deluso. Lungi dal regista rincorrere una ferrea coerenza anche solo tra Storia e resa effettiva, questo Nabucco appare l’affresco ideale, francamente un po’ pompier, del popolo oppresso che si ribella all’invasore. Ci sono infatti parecchi anacronismi, dalle Crocerossine a un Senso rivisitato (era La Fenice a Venezia e si dava Il trovatore), da Radetzky confuso con un vecchio Francesco Giuseppe (in realtà al soglio imperiale dal dicembre 1848), uno sventolante tricolore unitario a unificazione ancora da avvenire, “Viva V.E.R.D.I” senza Vittorio Emanuele sul trono…Eppure c’è chi esorta a perdonare tali leggerezze in nome della spettacolarità del tutto. In effetti, la riproduzione del Teatro alla Scala pensata da Alessandro Camera è di sicuro impatto: essa ruota su se stessa a svelare prima un interno borghese e la sala del Piermarini poi, strappando applausi e fiati sospesi. Bellissimi i costumi dello stesso Arnaud, poco vario il light design di Paolo Mazzon. Lo spettatore attento però si renderà conto che Bernard ha ben assimilato il linguaggio zeffirelliano. L’impostazione copia la misteriosa piramide dell’Aida di Zeffirelli, così come i caroselli della cavalleria e delle carrozze quelli della sua Carmen, a ricercare un effetto fortemente cinematografico. Suoni campionati, e non a salve, coprono fastidiosamente la Sinfonia, seguono sparatorie, attentati alla regia persona, masse che si dimenano tra barricate uscite dal pennello del Donghi (Felice), militari in continuo schieramento fino in cima alle gradinate contornano l’azione che, stufatasi del dramma storico, approda al metateatro, facendo perdere il senso di una drammaturgia già esile ai primordi: Zaccaria un insolente arringatore; Ismaele eroe della patria cade sotto fuoco nemico lasciando sconsolata Fenena, principessa austriaca pro Italia; Abigaille crudele generalessa che si rivede suicida sul palco della Scala dove vanno in scena appunto quadri dal Nabucco. De gustibus.
Parecchie delusioni sul piano musicale. Daniel Oren guida l’Orchestra dell’Arena senza alcun gusto specifico per la teatralità, in una complessiva piatta monotonia. Latitano accenti enfatizzanti, perdurano finezze spesso impercettibili e contenutezze del suono non adatte all’aperto, oltre al disinteresse a sostenere le voci deboli, quasi tutte, della compagnia.
Il Nabucco di George Gagnidze non ha alcun spessore scenico e vocale, ritagliandosi un’interpretazione generica, inficiata sovente da cali d’intonazione. Walter Fraccaro si distingue per la disinvoltura fisica nel ruolo di Ismaele, ma per il resto canta senza eludere le aspettative. L’Abigaille di Tatiana Melnychenko risente di palesi problemi di dizione e fraseggio, oltre che a un’inadeguatezza evidente nell’agilità, non possedendo di certo l’estensione di un soprano drammatico d’agilità – Anch’io dischiuso un giorno e Salgo già del trono aurato svaniscono in un’esecuzione irrilevante. La partitura scenica, pensata per lei da Bernard come basilare, è eccessivamente caricata, risultando goffa, poco femminile e approssimativa. Imbarazzante Stanislav Trofimov, Zaccaria lacunoso, dai registri disomogenei con evidenti difficoltà nell’acuto e nell’emissione. Senza infamia e senza lode la Fenena di Carmen Topciu. Ottimo il gran sacerdote di Belo, Romano Dal Zovo, il migliore della serata, che merita parti più rilevanti. Professionale l’Abdallo di Paolo Antognetti, quanto l’Anna di Madina Karbeli.
Eccellente e superata a pieni voti la prova del coro, preparato da Vito Lombardi. Inevitabilmente bissato il Va, pensiero.
Applausi e consensi generali alla prima del 23 giugno, ma anche defezioni verso la fine dell’opera da parte della platea e delle gradinate.
Luca Benvenuti