Il Mistico ascetismo del Santo di Assisi completa la trilogia di Celestini al Vittoria

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Ancora una volta Ascanio Celestini ha confermato di essere un campione del “Teatro da camera” e ”di parola” con una tirata verbale accurata e dettagliata in ogni minimo particolare in cui , bloccando su di lui la ferma ed assoluta concentrazione degli spettatori, ha trattato il problema religioso in questo momento assai di moda, considerate le decisioni del Papa e della Congregazione per la Dottrina della Fede nel “Dignitas Vitae” come pure la guerra che sta insanguinando l’Ucraina tra due religioni cristiane monoteiste  che si richiamano al Dio dell’Amore. Egli nel quadro della religione cattolica ha puntato la sua riflessione sulla figura di San Francesco d’Assisi che, in realtà si chiamava Giovanni all’anagrafe come c’ha rivelato dagli studi condotti, proveniva da una famiglia aristocratica medievale, ma pensando giustamente che la ricchezza non c’è data in proprietà dalla grazia divina bensì in amministrazione per il servizio e la distribuzione equa ai diseredati e poveri com’era nella primitiva comunità di Gerusalemme, davanti al Vescovo del Subasio respinse sdegnosamente le sue prerogative e si mise nudo sulla terra quasi fosse una seconda nascita spirituale. Proprio dal suolo freddo parte Celestini nella sua analitica ed agiografica biografia del Santo degli ultimi con un approfondito e ricco lavoro in “Flash back” che , come un  nastro che si riavvolge su se stesso, afferma che nella piccola cappella della Porziuncola , ove è ora la Basilica di Santa Maria degli Angeli, il 3 ottobre del 1226 spirò serenamente nelle braccia di Dio, circondato da frate Leone e gli altri confratelli di cui s’era circondato con la mansuetudine, il fascino del suo temperamento e carattere, l’eloquenza evangelica testimoniata dagli esempi numerosi e concreti di vita, che si ricollegavano alle opere di misericordia corporale e spirituale, con i doni dello Spirito Santo che ci ricorda la Verità di Cristo da cui attinge e ci santifica. Si rammenta dunque la creazione dell’Ordine Francescano con le tre regole dei voti perpetui di obbedienza, povertà e castità, che furono approvate da Papa Innocenzo III nel 1215 e poi la dolcezza e la sublime condotta, il discepolato serafico verso le giovani fanciulle del suo tempo, per cui suggestionò Chiara a San Domenico con il suo corteggio, accolito, di compagne che furono tante diaconesse  ed assistenti dei bisognosi con il loro semplice e devoto atteggiamento di assistenza e servizio. La sua esistenza fu sempre virtuosa e nobile, come Celestini ha ben sottolineato con  il suo sottile e chiaro profluvio di convinta dissertazione a perorazione della sua tesi, finché la sublime perfezione interiore di specchiata purezza e candore gli ottenne l’imprimatur delle Stimmate e fu il primo a riceverle come divina donazione di superiore metaforica espressione simbolica, dato che l’unico ad averle veramente avute con la corona di spine e il trapasso cruento dei chiodi fu Nostro Signore sulla Croce, insieme alla trafittura della lancia sul costato come fa constatare a San Tommaso apparendogli dopo la sua Resurrezione e vincendo la sua incredulità. Quindi nel 1223 per rendere onore e gloria a Gesù eresse il presepe vivente a Greccio vicino Assisi con il bue e l’asinello nella grotta a riproduzione della nascita a Betlemme dove non c’era posto per Lui ed i Magi della Persia vennero ad adorarlo  guidati dalla stella cometa, fenomeno atmosferico come l’eclissi solare che s’è osservata nelle Americhe con un impressionante “Sold out” fin dall’alba. Ora molti stanno perdendo il senso del sacro travolti dal consumismo e dalla ricerca del potere a tutti i costi, dell’efficientismo burocratico e statale, basti meditare su Nethaniau e Putin che sono dittatori , il primo con parvenza di democrazia tuttavia avendo contro il popolo per il  problema degli  ostaggi; si torna alla questione dello “Spazio vitale” di matrice teorica hitleriana che i capi danno  alle loro popolazioni in camio della “mano libera”. Tutto questo Celestini lo racconta a Gianluca Casadei che, nei panni del clavigero del Paradiso San Pietro che fu messo a capo delle “pecorelle” del Suo pascolo dopo averlo rinnegato tre volte prima del canto del gallo, accompagna il fine e brillante dicitore protagonista assoluto suonando la chitarra. Aspettano i pellegrini nel parcheggio del supermercato in cui adesso nel nome del modernismo s’è trasformata la capanna di Betlemme, ma i fedeli  non arriveranno mai ed anche i clienti del magazzino “store” in quanto i prezzi sono saliti per le conseguenze del conflitto ed i pericoli sul Mar Rosso, però gli stipendi sono rimasti gli stessi oppure ci sono stati i licenziamenti con la disoccupazione e la gente deve arrangiarsi come può, magari ai mercati alla fine della giornata. Dei poveri, dei Rom, degli zingari e degli immigrati, non si cura più nessuno se non Papa Francesco che scelse questo nome, il primo nella Storia della Chiesa con la successione Apostolica, appunto per deliberata dottrina riportata nella “Sollicitudo Rei Socialis” e che ogni domenica all’Angelus o “Regina Coeli” come nell’udienze generali del mercoledì nella Sala Nervi rammenta. Una vera campagna di linea religiosa e popolare, secondo l’ammaestramento evangelico “Beati gli ultimi che saranno i primi” e “i pubblicani e peccatori vi precederanno nel Regno dei Cieli” poiché la Misericordia di Dio, che abbiamo celebrato domenica scorsa, è infinita e pronta al perdono per un atto di pentimento e Fede come con il “figliol prodigo”. Questa “crociata” di Francesco con la porta in ferro di Lampedusa per coloro che provengono dall’Africa, morendo spesso nei naufragi dei barconi dei delinquenti “scafisti” sul Mediterraneo, può essere paragonata a quella che fece storicamente San Francesco in Egitto dal Sultano nel corso della Terza, dopo l’inizio con Onorio II, rischiando di venire imprigionato non avendolo convertito ed oggi c’è ancora lo scontro delle civiltà islamiche e camite con quella  occidentale e Japetica, dai figli di Noè con un rigurgito di antisemitismo da Sem. Naturalmente il messaggio di pace e fratellanza universale in nome di Dio pare fallito ed anche quello di convertire i brutti, sporchi e cattivi, non è affatto riuscito in quanto i mafiosi e camorristi non si ravvedono, a parte qualche pentito che poi paga personalmente o con i suoi parenti la vendetta dei clan o “Cupole” tradite, per cui per loro vale la scomunica di San Giovanni Paolo II o di Francesco. Più facile fu ammansire il lupo carnivoro di Gubbio! Con “Rumba” Celestini esaurisce la trilogia ideata civilmente con “Laika” nel 2015 e “Pueblo” nel 2017, salendo ascensionalmente di grado e passando dalla guida di Virgilio e Catone l’Uticense nell’Inferno e Purgatorio a quella di Beatrice, inviata dalla teologica santa Lucia patrona della vista spirituale, nonché infine San Bernardo nel Paradiso. Si toccano i due corni, le cime del monte Olimpo, dove risiedevano gli Dei : il Parnaso per la ragione e poi il Cirra per la sequela della Trinità che muove il Sole e le altre stelle. I personaggi logicamente sono i medesimi come nella dantesca “Divina Commedia” così definita dal Boccaccio e da un  palazzo di periferia, alla maniera del laico Pasolini, guardano quanto avviene sotto di loro. Nei poveri, pezzenti e barboni che dormono e mangiano in strada, forse assistiti dalla Caritas, riscontrano quello che avvenne con il leggiadro San Francesco otto secoli fa. Giobbe, dopo essersi salvato dal naufragio, organizza un magazzino commerciale senza nemmeno una scritta  per non conoscere la nostra lingua, altri provenienti dalla tratta balcanica muoiono sul lavoro con le “morti bianche” sottopagate e senza misure di protezione come le ultime nella centrale elettrica sul lago di Suviana nel bolognese. Altri ancora sono finiti in carcere o negli squallidi ed abbrutenti CPR( Centri per rifugiati) come quello di Mezzanone vicino Foggia, o in carcere ed hanno come risultato terminale il randagismo od essere clochard, un facchino dei mercati generali, se va bene. I Rom delinquono sulle metro ed abbiamo appreso della madre di quattro figli picchiata e costretta ad abortire perché non voleva più scippare, ma rifarsi una vita onesta; qualche zingarello fuma sostanze proibite vicino alle fontanelle accanto ad i bar. Ci sono i Don Coluccia e Ciotti con l’associazione “Libera” che vorrebbero recuperare queste anime, pecorelle, smarrite, tuttavia vengono aggredite e minacciate di morte, per cui hanno bisogno della scorta .Ecco i poveri e reietti di oggi che l’indifferenza e l’egoismo di classe trascura con la sua vile ed arrogante prosopopea, facendo finta di non vedere , pur se qualcuno sfruttato dalla macrocriminalità recita la parte dell’escluso ed emarginato. Ci sono le case popolari, i “casermoni” di Corviale e la dignità umana è venuta meno, ridotti ad essere bruti animali in preda agli istinti primitivi e naturali nel tessuto collettivo del consorzio umano. Lo spettacolo sarà replicato al Vittoria fino a domenica prossima e può contare sul sostegno della Regione e del Ministero della Cultura.

Giancarlo Lungarini

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